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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2013 alle ore 08:57.

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«Interrogarsi sulla "religione civile" non apparteneva alla cultura della mia generazione. Ci sembrava una trappola che permetteva ai simboli di offuscare la realtà, un modo per diluire in un generico interclassismo la dura materialità di quello che allora si chiamava "conflitto di classe"».
Inizia con questa ammissione la riflessione di Giovanni De Luna sulla mancanza di una religione civile in Italia, intendendo per "religione", come egli spiega, «qualcosa che lega, che unisce, un principio unificatore dei singoli», mentre l'aggettivo "civile" suggerisce «che nel diventare cives gli individui accettino dei vincoli e si riconoscano in uno Stato legittimato anche da un insieme di narrazioni storiche, figure esemplari, occasioni celebrative, riti di memoria, miti, simboli che riescono a radicare le istituzioni non solo nella società ma anche nelle menti e nei cuori dei singoli individui». De Luna svolge la sua riflessione attraverso una sintetica rievocazione storica dei tentativi fatti nel corso della storia italiana dopo il Risorgimento, per "costruire" una religione civile: il termine "costruzione" è dell'autore, che fa proprio il concetto di "invenzione della tradizione" coniato dagli storici inglesi Eric Hobsbawm e Terence Ranger per definire «un insieme di pratiche, in genere regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità col passato» (L'invenzione della tradizione, Einaudi 1987).
Nel corso della storia, tuttavia, l'invenzione di una tradizione è stata più frequente e più efficace della costruzione di una religione civile. Infatti, risulta più facile rintracciare una religione civile nei paesi dove essa già esiste (ma sono, in verità, pochi) che riuscire a costruirla dove non esiste, come dimostra la storia dell'Italia unita. Qui, il tentativo per costruire una religione civile basata sul patriottismo del Risorgimento si esaurì con l'esperienza del regime liberale, mentre il regime fascista che volle imporre, con il totalitarismo, una religione politica, alla fine produsse una guerra civile. I tentativi non ebbero maggior successo nell'Italia repubblicana. Come riconosce l'autore, la cultura della sua generazione considerò la religione civile una trappola interclassista; ma occorre aggiungere che gran parte della cultura politica italiana dell'Italia repubblicana è stata indifferente alla costruzione di una religione civile, così come è stata indifferente a coltivare il patriottismo e il senso civico, che di una religione civile dovrebbero essere i pilastri fondamentali. Invece, gli opposti universalismi egemonici del cattolicesimo e del comunismo lasciarono al neofascismo il monopolio del patriottismo nazionale, e dispersero nel virulento antagonismo della Guerra Fredda il patriottismo civico della Resistenza, sul quale avrebbe voluto fondare una religione civile dell'Italia democratica il partito d'azione, che ebbe vita breve. Nei decenni successivi, il terreno sul quale avrebbe potuto crescere una religione civile fu inaridito dall'invasione delle cavallette consumistiche, dagli incendi della violenza terroristica, e da periodiche inondazioni di corruzione, che investirono lo Stato, i partiti, la società. E di religione civile in Italia non si parlò più.
A questo proposito, può essere interessante notare, che proprio quando la generazione di De Luna considerava la religione civile una trappola dell'interclassismo, nel 1967 il sociologo Robert Bellah annunciava negli Stati Uniti la scoperta di una dimensione religiosa pubblica, distinta e separata dalle chiese, con un proprio sistema di credenze, di riti e simboli, connessi alla storia e alle istituzioni americane, che egli chiamò "religione civile", derivando l'espressione da Rousseau. La scoperta provocò un dibattito vivacissimo durato oltre venti anni, fra chi la condivideva e chi la contestava negando l'esistenza di una religione civile americana. Poi, nel 1975, lo stesso Bellah disse: «Oggi, la religione civile americana è un guscio vuoto e rotto». E da allora non ha più parlato di "religione civile". (Cfr. E.Gentile, La democrazia di Dio. La religione americana nell'era dell'impero e del terrore, Laterza 2008).
Abbandonata la diffidenza giovanile, De Luna oggi sostiene che una religione civile «è strettamente connessa all'esistenza stessa di uno Stato unitario e delle sue istituzioni democratiche». Da tale affermazione è lecito dedurre che senza una religione civile, lo Stato democratico vive un'esistenza precaria e pericolante, destinata a scivolare nello stato degenerativo di una collettività frammentata fra individui e gruppi unicamente intenti a sopravvivere o a sopraffarsi. Può darsi che tali deduzioni vadano oltre il pensiero dell'autore. Ma le sue conclusioni seguono la stessa direzione, quando descrivono, nell'Italia attuale, «una politica senza religione», ridotta «alla semplice amministrazione tecnica del l'esistente», «esangue, senza anima, destinata a soccombere». Secondo De Luna, «la costruzione di una religione civile misura essenzialmente la capacità di una classe politica»: ma tale capacità manca del tutto alla classe politica della Seconda Repubblica: «la politica senza religione della Seconda Repubblica è andata a schiantarsi sugli scogli della crisi economica», mentre «nessuna proposta è emersa sui valori su cui fondare un nuovo "patto di cittadinanza"». I fallimenti accumulati da «una politica senza religione» nel corso degli ultimi due decenni, sono «così vistosi da far pensare che la classe politica della Seconda Repubblica . . . diventi la peggiore dell'intera storia dell'Italia repubblicana».

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