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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2013 alle ore 09:04.

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Il 19 dicembre 1915 nasce, su un marciapiede di Belleville, Édith Giovanna Gassion. Destino karmico, per una figlia del popolo. La strada non l'avrebbe più lasciata, sarebbe stato il suo palcoscenico, la sua casa, il suo taccuino privato. Una delle voci più tragiche e fortunate del secolo è venuta al mondo sapendo esattamente chi era e scegliendo di non essere nient'altro: madre cantante di strada, padre contorsionista. La nonna Aïcha, che l'ha allevata, addestrava pulci. Manco a dirlo, en plein air.
Édith Piaf, nome d'arte la Môme (esile e insieme gotica, era conosciuta dagli avventori dei bistrot come «l'ugola insanguinata di un passerotto»), è stata l'icona sbagliata di Francia. Morfinomane, negli ultimi anni deformata dall'artrite, almeno una volta aspirante suicida, sovente affetta da delirium tremens. Eppure, o forse appunto, Édith Piaf. La piccola Môme sempre vestita di nero, muore l'11 ottobre del 1963. Lo stesso giorno – ma per cause diverse – di Jean Cocteau, la voce del Surrealismo. Édith, divorata dalla cirrosi epatica, si lascia prendere da un improvviso aneurisma a Grasse, la città dei profumi. A distanza di poche ore Cocteau ha un infarto: ha appena saputo della morte dell'amica, per cui aveva scritto l'elogio funebre. Quel giorno la Francia perde due grandi voci. Una delle due, quella più popolare, continuerà a ronzarle in testa, provocando pure qualche fastidio. Ora, a cinquant'anni dalla morte, dopo il documentario di Philippe Kohly che racconta amori, miserie e nobiltà di una delle icone della Francia, trasmesso lunedì scorso su France3, un libro ne ricorda il lato oscuro. Imperdonabile, perché racconta una debolezza che non consente appello. La Môme ha cantato, danzato e bevuto con i nazisti. Piaf. Un mythe français (Fayard) di Robert Belleret racconta cose che, tutte insieme, non sembrano poter appartenere a una sola vita. Il passerotto frequentava, addirittura vivendoci, nel bordello della Gestapo e coltivava torbide amicizie, senza alcun imbarazzo. Prima, durante e dopo la guerra. Fino alla fine. «Potete riconoscere –, dirà nell'ultima intervista, – che ho avuto fortuna nell'avere avuto tanti amanti. Quale donna non mi invidierebbe? Tutti giovani, belli, seducenti e, dopo avermi conosciuta, gli abbiamo tirato fuori pure il talento». E di fortuna, in questo senso, ne ha avuta parecchio, questa croqueuse d'hommes alla ricerca bulimica di «schiavi consenzienti», pulce di un metro e quarantasette capace di salti silenziosi verso il cielo e conseguenti cadute verso l'abisso. Quello che resta, dopo cinquant'anni, è principalmente la forza tragica di quella voce, che ha saputo creare un mondo senza saperlo, trasformando un dono in qualcosa di riconoscibile, quasi un brand: la voce di Francia, spedita nel mondo come una cartolina. Il lustro francese, a cavallo della Guerra, ci ha lasciato alcune immagini sonore incancellabili: l'appel du 18 juin (era il 1940) da Radio Londra del Generale De Gaulle, la conferenza pop di Sartre («L'esistenzialismo è un umanismo») circondato da esistenzialisti in girocollo bleu alla Sala delle Centrali, la cornetta di Boris Vian a Saint-Germain e la voce di Édith Piaf. Che arrivava ovunque, per tutti. Colonna sonora di Francia, la p'tit Môme ha semplicemente inventato il Variété francese, sintesi quasi perfetta e non traducibile delle nostre canzone d'autore, musica leggera e popolare. Portandolo nelle caves, nei bistrot e nelle strade di Parigi. Tutti, o quasi, nascono con lei, da Maurice Chevalier, a Yves Montand, da Georges Moustaki a Charles Aznavour. Il segreto? Nessuno, perché quella voce aveva la stessa fame della vita storta di questa piccola e goffa donna di strada.
L'ultimo grande palco, l'Olympia, il celebre Music Hall parigino nato nel 1888 e trasformato in cinema prima della Guerra, che lei salva dal fallimento, replicando per oltre quattro mesi una canzone che è diventato il suo testamento, Non, je ne regrette rien. La dedica, chiudendo un cerchio (i primi successi, nel 1936, sono storie di legionari), alla Legione straniera, che ne fa da subito il proprio inno. Da sempre icona della destra e stampella dei pieds-noirs d'Algeria, anarchica e libertaria, Édith Piaf era figlia di un secolo fatto di rose e rimpianti. E stella cadente, o piuttosto asteroide. Come quello, tra Marte e Giove (scoperto nel 1982), che continua a precipitare nel vuoto, insieme freddo e incandescente, restando se stesso: 3772 Piaf.
r.piaggio1@me.com
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