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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2013 alle ore 16:30.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 13:26.

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(Jacques Hoepffner)(Jacques Hoepffner)

Il titolo si riferisce alla tecnica pittorica dello "sfumato", la mancanza, cioè, di linee e di contorni. Come il fumo. E con un'invasione di vapore, che attenua i contorni dei corpi, si apre lo spettacolo "Sfumato" del coreografo Rachid Ouramdane (in prima nazionale al Romaeuropa Festival). Si diffonde dai due performer sdraiati di spalle, come se fossero surriscaldati, e si diffonde in platea.

L'effetto che via via si svilupperà sul palcoscenico sarà di uno scenario post-apocalittico: quello causato da uragani, tsunami, innalzamento delle acque. A evocare un monsone o un tornado è il vorticoso e impressionante movimento circolare – simile alla danza dervisci – di una danzatrice che per dieci minuti gira su se stessa per tutta la scena variando la rotazione e il contorsionismo delle braccia. Il coreografo francese di origini algerine (artista associato al Théâtre de la Ville de Paris e a Bonlieu-Scène nationale Annecy) il cui interesse spazia dalle tematiche politiche a quelle sociali, qui ci parla di temi ambientali e degli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, delle migrazioni, ad essi dovuti, di gente e villaggi del sudest asiatico. E quindi della loro perdita d'identità. In questo caso di popolazioni vietnamite e cinesi.

Ouramdane si serve di video riproducenti volti in primissimo piano e abbinandovi parole – scritte con Sonia Chiambretto - che esprimono la fragilità della loro condizione di esuli e di sopravvissuti, del pericolo presagito. Frasi come «mai dormire nuda, perchè se arrivasse un uragano non potrei fuggire». La sequenza più suggestiva dello spettacolo (che sembra rifarsi all'impareggiabile "Vollmond" di Pina Bausch, dove la valenza dell'acqua era di ben altra potenza evocativa e descrittiva) è l'improvvisa pioggia torrenziale – un diluvio universale senz'arca - che si abbatte sulla scena, lasciando poi un lago d'acqua, mentre una pianista suona e canta incurante dello strumento bagnato. I danzatori, inzuppati, sguazzano nell'acqua, si agitano, si scompongono in equilibrismi sconnessi, in ralenti e accelerazioni, in una danza che risulta casuale, senza – almeno così ci sembra - un pensiero gestuale e una drammaturgia coerente.

C'è, infatti, un'assenza quasi totale di coreografia, la mancanza di una costruzione chiara di idee in movimento. Solo entrate e uscite dei performer, corse, camminate, tremolii, corpi fermi, ondeggianti, smarriti. Visivamente, forse, lo spettacolo riempie gli occhi, anche per il connubio con il video, la musica, i riverberi dell'acqua. Ma niente di più. Nessuna tensione. Né fisica, né emotiva. Solo umide atmosfere. Inoltre, stride completamente l'improvviso numero di tip-tap che uno degli interpreti attacca allegramente, avanzando sul proscenio, imitando il celebre motivo musicale di "Singin in the rain". Viene da chiedersi cosa c'entra col resto? Se si voleva spezzare l'atmosfera cupa per una nota allegra e gioiosa, del danzare nonostante le avversità, l'uomo che canta sotto la pioggia andava raccontato con altro stile. Più simbolico.

Ideazione, Coreografia Rachid Ouramdane, regia Laurent Lechenault, testo Sonia Chiambretto, musiche Jean-Baptiste Julien, canto Deborah Lennie-Bisson, scene Sylvain Giraudeau, luci Stéphane Graillot, video Aldo Lee, Jacques Hoepffner, costumi La Bourette. Produzione Erell Melscoët, coproduzione Biennale de la danse de Lyon, Bonlieu-Scène nationale Annecy, Le Quai - Angers, Kaaitheater – Bruxelles. Al teatro Eliseo di Roma per Romaeuropa Festival.
www.romaeuropa.net
rachidouramdane.com

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