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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 08:52.

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Un agnostico come Franco Fortini, in un articolo sul «Manifesto» del 24 luglio 1992, la definiva «signora della notte, donna dell'eccesso, erratica della conoscenza, visionaria dell'intelletto», echeggiando le parole di uno dei massimi e più raffinati esperti di letteratura religiosa, il cappuccino svizzero Giovanni Pozzi che, nella sua introduzione all'edizione del Libro dell'esperienza presso Adelphi (1992), aveva scritto: «L'oscurità è la sigla di Angela. Se non la notte, un'ombra di crepuscolo attornia la sua figura anche al di là di un dettato testuale in parte insondabile e sfuoca i suoi tratti biografici di santa e di scrittrice». Effettivamente, l'icona di Angela da Foligno ruota in un'atmosfera ora luminosa, ora offuscata, sospesa tra le due date della nascita, 1248, e della morte, 1309, che la rendono quindi contemporanea di Dante, e incastonata nello spazio umbro della Foligno medievale.
Angela si ripresenta ora davanti al lettore con la sua autobiografia dalla curiosa stesura "mediata": essa è la prima parte, intitolata Memoriale, di un più vasto corpus di testi raccolti dalla sua voce e denominati semplicemente Liber. Parlavamo di stesura "mediata" perché quelle pagine così personali sono, in realtà, la trascrizione parola per parola in un latino un po' balbettante ed elementare della testimonianza della mistica che si esprimeva in dialetto folignate. Lo scriba è presentato come A. frater ossia frate Arnaldo, un francescano confessor et consanguineus et etiam consiliarius precipuus et singularis, quindi il confessore e il direttore spirituale di Angela. Siamo, dunque, in presenza di un racconto trascritto, che non può comprimere l'incandescenza dell'esperienza originaria, le cui onde di fuoco escono dalla bocca di una donna straordinaria.
Donna dalla storia tutt'altra che eremitica o monacale: infatti, essa imbocca la sua strada spirituale di penitenza e di preghiera solo dopo la morte della madre, del marito e dei figli, in un vuoto esistenziale creatosi in un breve arco di tempo, un vuoto anche economico-sociale perché Angela si spoglierà di tutti i beni ereditati distribuendoli ai poveri. Nel 1291 si recherà pellegrina alla tomba di Francesco ad Assisi e sarà là che inizierà il suo itinerario d'altura nella contemplazione mistica, attestato appunto dal Memoriale. In queste pagine brulicanti di visioni, sospese tra l'autobiografismo e l'estasi, affacciate su abissi tenebrosi e irradiate da luci trascendenti, incapaci di raggelare nello stampo freddo della parola scritta il fremito che sgorga da un'esperienza ineffabile, non è certo facile scoprire un filo conduttore.
A questo punto è necessario ricorrere a una guida qualificata, come accade a chi esplora una grotta misteriosa. L'aiuto viene proprio dall'edizione critica esemplare approntata dal professor Enrico Menestò. Egli con coraggio ha preso in mano l'ampio dossier dei 35 testimoni testuali sicuri finora censiti, dei quali, però, 11 sono traduzioni in italiano (otto) e in catalano (tre), privilegiando quattro codici-base, gli unici che non abbiano operato revisioni, cuciture, ristrutturazioni sulla matrice originaria. Si tratta di un manoscritto del 1306-1309 della Biblioteca Comunale di Assisi, di un altro della metà del Trecento della Biblioteca romana di sant'Isidoro, di un testo del Quattrocento della Biblioteca Paroniana di Rieti e, infine, del quattrocentesco codice del Monastero di santa Scolastica a Subiaco.
Su questa base, a cui si aggiunge un esile frammento conservato nella Bodleian Library di Oxford, si può ricomporre un ideale archetipo e la relativa genealogia testuale e, in tal modo, leggere dal vivo quel messaggio la cui potenza brilla nelle righe latine così povere e spesso impotenti a esprimerlo, tant'è vero che la stessa Angela, riascoltando la propria voce cristallizzata in quello scritto, reagirà riconoscendo che esso è verità, ma anche truffa e bestemmia! Menestò giustamente osserva che «l'itinerario di Angela non è tanto un andare verso Dio, ma un andare dentro Dio», un pellegrinaggio dell'anima che comprende tre tappe: il momento dell'amore, quello del nulla e, infine, l'aurora della risurrezione. Come è evidente, in questa trilogia si ha anche la fase della notte oscura, un topos di molte esperienze mistiche (si pensi al grande mistico spagnolo san Giovanni della Croce).
Ma la meta è luminosa ed è un abisso di splendore, un gorgo di fulgore che attira la donna che in esso precipita, lasciando alle spalle la tenebra della croce nella quale essa è stata concrocifissa con Gesù. Quella voragine che accoglie Angela è il mistero trinitario. «L'esperienza suprema di Angela – scrive ancora Menestò – è l'unione con Dio. Angela ha un nuovo giaciglio, non più sulla croce o nel sepolcro, ma in mezzo alla Trinità». Dal «letto» di morte della croce essa ora è trasferita per giacere nell'intimità divina trinitaria (la metafora del «letto» è usata proprio da Angela che, come spesso avviene ai mistici, non teme il ricorso al linguaggio amoroso). La meta finale, però, non sarà il giacere nella Trinità, bensì il giacere della Trinità in lei, un po' come accade a san Paolo quando ai Galati confessa di essere «stato crocifisso con Cristo», per cui «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (2, 19-20). Lapidaria è, allora, la conclusione di Angela in una delle ultime pagine del suo Memoriale, quando Dio le dice: «Figlia della divina sapienza, tempio del Diletto, gioia del Diletto e figlia della pace, in te riposa tutta la Trinità, tutta la verità, così che tu tieni me e io tengo te» (IX, 127,420-422). L'intimità piena con Dio è, così, compiuta, in un infinito abbraccio d'amore. Un importante teologo del secolo scorso, lo svizzero Charles Journet (1891-1975), ricordava che la lettura dei mistici è un'esperienza rischiosa, ma è un rischio che dev'essere assolutamente corso. Ed è ciò che abbiamo visto compiersi, anche nel maggio scorso, quando nel Teatro Argentina a Roma, una gran folla ha seguito per due ore figure tra loro profondamente diverse – come una scrittrice e critica, Nadia Fusini, un filosofo, Massimo Cacciari, due giornalisti come Monica Maggioni e Federico Rampini, un politico, Anna Finocchiaro, e un cardinale come chi ora scrive – interrogarsi sul tema del fallimento umano e sociale vissuto, interpretato e illuminato dall'esperienza mistica. Essa, infatti, contrariamente allo stereotipo, è tutt'altro che un decollare dalla realtà verso cieli mitici ed eterei; è ciò che insegnavano proprio due sorprendenti autori spirituali letti quella sera, il secentesco Angelo Silesio (della Slesia) e il diplomatico svedese Dag Hammarskjöld (1905-1961), segretario generale dell'Onu, Nobel per la pace 1961, uomo dalla forte temperie spirituale.

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