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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 08:52.
Nel marzo 1946 furono battezzati a Savannah, antica cittadina della Georgia, due gemelli: il Signor Fondo (monetario) e Madama Banca (mondiale). Keynes, presente alla cerimonia, si augurò che il fato donasse loro un manto multicolore per ricordarsi di appartenere al mondo intero, una scatola di vitamine per avere "energia e animo senza paura" e, infine, saggezza perché "il loro approccio a ogni questione fosse sempre obiettivo". La creazione dei due gemelli, àncora di un nuovo sistema monetario internazionale, non sarebbe stata possibile se gli Stati Uniti non avessero superato durante la guerra la timidezza di gigante insicuro che li aveva paralizzati tra il 1919 e il 1941 riconoscendo che la potenza militare ed economica consegnava loro la guida di gran parte del mondo. Una leadership, inutile dirlo, non altruista (fu chiamata con qualche ragione neo-imperialista) e tuttavia lungimirante nel riconoscere che la prosperità degli Stati Uniti era legata alla rinascita sia dell'Europa, dopo la tragedia della "seconda guerra dei trent'anni", sia dal Giappone, dopo il fallimento dell'impossibile sogno imperiale sull'Asia. L'"egemonia consensuale" (Maier) - fondata sui vantaggi che offriva sia all'egemone sia agli egemonizzati - durò, seppure con benefici decrescenti, per un quarantennio segnato da crescente prosperità. Nemmeno in quelle felici circostanze, tuttavia, fu possibile sciogliere il principale nodo delle relazioni economiche internazionali: a chi spetta l'onere di correggere situazioni di squilibrio? Solo al debitore o anche al creditore? I due gemelli non avevano ricevuto i doni che Keynes aveva loro augurato in quantità sufficiente a sciogliere il nodo, trovando il modo di dividere equamente tra debitori e creditori i costi del riequilibrio macroeconomico. In questo, la leadership mondiale degli Stati Uniti fallì, così come rischia di fallire quella della Germania in Europa.
L'assenza di un leader internazionale è il nocciolo di due libri molto diversi. Quello di Temin e Vines, due importanti economisti, discute gli squilibri dell'economia mondiale in una prospettiva di lungo periodo. Con la fine della Pax Britannica venne meno un egemone (non più Londra, non ancora Washington) in grado di imporre il necessario coordinamento delle politiche economiche: di qui la diffusione e la persistenza della crisi degli Anni Trenta. Analogamente, l'indebolimento degli Stati Uniti e l'emergere di un mondo sempre più multipolare spiegano le difficoltà odierne nel ricostruire un sistema economico internazionale coerente ed equilibrato. Marsh - ascoltato opinionista non accademico - racconta, nei venti capitoli flash di un breve saggio, la gestazione ed evoluzione della crisi dell'euro che ritiene, nel lungo andare, insolubile. Gli errori, che a Marsh paiono fatali, commessi nel disegnare la moneta unica potrebbero essere corretti solo da una unione politica la cui nascita è tuttavia impedita dai divergenti interessi dei Paesi chiamati a costituirla. Manca, anche all'Europa, una guida credibile. Regno Unito e Francia, stagionate potenze coloniali, saprebbero come gestire ambiziose iniziative strategiche ma non dispongono della forza economica per farlo mentre alla potente Germania mancano sicurezza di sé, esperienza, competenza.
Marsh lascia poche speranze all'euro. Una moneta, dice, è inseparabile dalla società che la usa. E la società europea, stanca e demoralizzata, assiste all'alba di una nuova era di umiltà occidentale, facendosi da parte per lasciare spazio ad altri. L'euro continuerà ad esistere solo perché le conseguenze di un suo fallimento sono temute da tutto il mondo, ma vivacchierà bloccato dalle discordie interne. Temin e Vines giudicano indispensabile un grande scambio tra il nord e il sud del continente, propiziato dalla Germania "leader putativo dell'eurozona". Da un lato è necessario tagliare il nodo del "chi deve aggiustare?" Spetta ai Paesi in surplus fare la loro parte con una forte espansione fiscale, della quale i primi beneficiari sarebbero i loro stessi cittadini. I paesi del sud hanno un compito ben più pesante di ricostruire la propria competitività. Unione bancaria ed emissioni di titoli di Stato garantiti da tutti sono necessari a garantire tranquillità mentre le cosiddette "riforme strutturali" prendono piede. "Germania, Spagna e Italia - concludono gli autori - devono sottoscrivere impliciti o espliciti impegni reciproci" di fare ciascuno la propria. Senza una forte leadership della Germania tutto questo è impensabile. In assenza di questo patto, anche secondo Temin e Vines, la prognosi per l'euro è infausta.
Il processo di unificazione europea e lo stesso euro hanno negli anni ripetutamente smentito, spesso alla ventitreesima ora, le nere previsioni che molti osservatori di volta in volta formulavano, spesso per mancanza di intima conoscenza dei processi politici europei. Non è detto che questo debba verificarsi anche questa volta. La ricetta di Temin e Vines, tutt'altro che originale ma ben motivata analiticamente e storicamente, consentirebbe, se adottata, di rilanciare l'intera eurozona. Marsh la considera politicamente inattuabile. Lo è, forse, come terapia shock. L'interesse al successo dell'euro è tale che non è impensabile una più forte assunzione di un ruolo guida da parte della Germania, un suo fare definitivamente i conti con i fantasmi del passato e con la forza attuale, e il formarsi nelle opinioni pubbliche del sud di una consapevolezza della necessità di riforme.