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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 08:54.

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«What's This Shit?». Era il 1970 e il Self Portrait di Bob Dylan suscitò disgusto, noia e indifferenza, a partire dalla celebre esclamazione di «Rolling Stone». In realtà, lui non stava lì, ma era con il cuore trent'anni indietro, a Woody Guthrie (raccontato dal recente e toccante roadbook Woody, Cisco & Me di Jim Longhi, per le edizioni Clichy) e con lo sguardo quaranta in avanti. Infatti il recente Another Self Portrait, 1969-1971, decimo capitolo della Bootleg Series ufficiale, che contiene demo e alternative takes della trilogia folk-country, da Nashville Skyline del 1969 a Self Portrait e New Morning dell'anno successivo. Voce nasale spinta verso l'inascoltabile, brani al limite del modale (e dire che per quelli tonali, nel folk dylaniano, bastano tre accordi), chitarra incerta sul fingerpicking per marcare una differenza, prima ancora che un'identità. Quella di unicum nel panorama disponibile, di esegeta dell'epica americana, diverso per statura e per definizione. Una questione concettuale, prima ancora che estetica.
La stessa scelta, al contrario, fatta dal "Dylan elettrico" al Festival di Newport nel 1965. Tutti si aspettavano ballate folk e i duetti con Joan Baez in country-style. Ma Dylan è Dylan e spara sugli amplificatori distorsioni elettriche e rock'n'roll. Come Pessoa, anche lui lascia vivere i propri eteronomi, a cui consente di dire e fare ciò che vogliono. La differenza? I suoi si chiamano tutti nello stesso modo. Sarà utile, per entrare con agio nel paradiso perduto del country-Dylan, l'eroico ascolto, almeno parziale, della poderosa antologia The Best Broadside 1962-1988 (nella collana Smithsonian Folkways Recording), che raccoglie protest song di Dylan, Janis Ian, il bizzarro reverendo Frederick Kirkpatrick, Phil Ochs, Pete Seeger. Lì si capisce una cosa: il folk, almeno negli anni Sessanta, era una cosa seria, perfino troppo, a volte.
Dalle cantine del Greenwich alle miniere del Kentucky (a proposito, cercate da qualche parte nel web "Harlan County, Usa", doc del 1976 di Barbara Kopple sul rapporto tra folk, minatori e controcultura), quello era il suono della coscienza civile antagonista americana. Come il rap negli Ottanta e il grunge nei Novanta. Come le ballate di Giovanna Marini e la pizzica a Melpignano. Niente - proprio nulla - a che vedere con il folklore. Il Self Portrait di oggi (versione standard, deluxe, vinile e ITunes) contiene cose tradizionali, classici dylaniani e un autoritratto in copertina. Come quelli (dodici in tutto, intitolati Face Value) esposti alla National Portrait Gallery di Londra, fino al 5 gennaio prossimo. E a novembre l'autoritratto più autentico Dylan se lo fa dal vivo, anzi "live and in person". Il tour italiano di Dylan comprende a novembre tre date milanesi (il 2, il 3 e il 4) due romane (il 6 e il 7) e, il giorno successivo, a Padova.
r.piaggio1@me.com
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