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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 08:52.

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«Ci chiamano il Mediterraneo del Giappone. Sole, insenature, tante isole vicine alla costa così come verso l'orizzonte. Non le pare?». Abbastanza, con qualche incongruenza. Il Yunoko Spain Village domina un tratto del mare di Shiranui, prospiciente la baia di Minamata, provincia di Kumamoto, nel Kyushu: si diffonde nell'aria musica di flamenco, ma non impera il vino, bensì la birra prodotta qui dalla Fukuda Brewery e chiamata «Roman beer» (più che romana, significa romantica). E si serve sashimi. È difficile pensare che, una volta, qui il pesce portava la morte. Tanto che solo il nome della baia seminava il terrore e chi vi era nato veniva discriminato come potenziale untore di un male sconosciuto che sconvolgeva la mente e il corpo, in un esempio senza precedenti di avvelenamento collettivo attraverso l'ingresso nella catena alimentare di un metallo pesante come il mercurio.
Per una scelta coraggiosa, Minamata resterà per sempre nella memoria del mondo come monito contro gli eccessi di uno sviluppo economico indiscriminato: questa settimana una conferenza diplomatica internazionale ha sancito la «Minamata Convention» per la riduzione dell'uso e del commercio del mercurio (per l'Italia ha firmato l'ambasciatore Domenico Giorgi). Pensare che in passato i cittadini di Minamata avevano promosso una petizione perché venisse cambiato il nome alla malattia in modo da non associarla più alla loro cittadina, che di recente ha avuto riconoscimenti come «EcoCapital» del Giappone, essendosi reinventata come esempio del rispetto dell'ambiente. Quando fu scoperta, nel 1956, non si sapeva come chiamare quella che fu definita «malattia strana» o «malattia dei gatti danzanti», perché erano stati felini di casa – ghiotti di avanzi di pesce – i primi a mostrare una forma di epilessia: violente convulsioni anticipavano la morte. Colpa del metilmercurio, scaricato nella baia dalla Chisso, l'azienda chimica padrona della «company town» che negli anni 50 portò gli abitanti oltre 50mila (ora sono 27mila). 2.274 le vittime ufficiali, oltre 50mila le persone colpite, molte delle quali chiedono ancora giustizia e assistenza. Fino al '97, una rete imprigionava la baia per impedire la pesca.
Col tempo Minamata divenne simbolo non solo dei pericoli dell'inquinamento, ma anche dei rapporti da cambiare tra popolazione, imprese e Stato. Il negazionismo della Chisso, che continuò fino al 1968 a usare il mercurio, la lentezza delle autorità nell'affrontare l'emergenza sanitaria, le polemiche sulle compensazioni con relativi scontri di piazza, i contrasti tra vittime e lavoratori preoccupati di perdere il lavoro: sono elementi che hanno fatto sì che questa vicenda diventasse un fattore importante nell'evoluzione dei processi democratici verso un maggiore equilibrio nelle relazioni tra l'uomo e l'ambiente, e tra cittadini e potere. Se le contraddizioni tra esigenze dello sviluppo industriale e ambiente non finiscono mai, anche in Italia un caso eclatante di inquinamento – Seveso, 1976, fuoriuscita di diossina dall'Icmesa – provocò una svolta nella coscienza pubblica e nuovi interrogativi su tematiche controverse (come l'aborto). Ma in Brianza non furono certo contenti che la normativa europea sul l'inquinamento venisse definita «direttiva Seveso». «Non ci vergogniamo, perché siamo diventati un modello di città ecosostenibile», dice il sindaco Katsuaki Miyamoto, elencando le conquiste della sua comunità: raccolta differenziata portata all'estremo (24 categorie), certificazione Iso anche per le famiglie e le scuole, certificato di «EcoShop» per i negozi e di «EcoMeister» per i produttori di alimenti biologici. Infine l'Ecoparco che sorge sulla terra reclamata al mare dopo il drenaggio nella zona inquinata; più le attività educative e di ricerca, dall'Università di scienze ambientali al Museo civico della malattia. Il turismo educativo può avere un'altra meta significativa nel Minamata disease museum della Soshinsha, la combattiva associazione delle vittime e dei loro familiari. La differenza rispetto a Seveso che più colpisce è una: se l'Icmesa non esiste più, la Chisso resta la maggiore fabbrica, anche se non ha più 5mila addetti ma 600 e ha cambiato nome in Jnc. «Ci siamo riconvertiti a tecnologie avanzate, specie per i componenti Lcd, e alla cosmetica, in cui usiamo prodotti locali come le bucce di arance», afferma Yoshinobu Nomoto, direttore amministrativo di Jnc.
A Minamata come a Fukushima non ci sono mai state inchieste penali. L'impresa è stata tenuta in vita da prestiti pubblici e delle banche: ha pagato 300 miliardi di yen in compensazioni e la maggior parte dei profitti va ancora in risarcimenti. Il governatore di Kumamoto, Ikuo Kabashima, che ha promosso 4 anni fa una normativa "di sollievo" a chi non ha i requisiti per il riconoscimento ufficiale di vittima, proclama: «Il messaggio della Conferenza sarà: mai più Minamata del mondo!».
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