Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 08:53.

My24

Prima di approdare alla vasta fama cinematografica, Patrice Chéreau – scomparso qualche giorno fa all'età di 68 anni, stroncato da un cancro al polmone – è stato un grande del teatro europeo, uno dei registi di maggiore spicco della sua generazione.
Figlio del "maggio" francese, cresciuto artisticamente sulle barricate, aveva rivelato un precocissimo talento fin dai banchi di scuola, alla guida di una compagnia di liceali. Divenuto nel '67 direttore del Théâtre de Sartrouville, uno spazio della banlieu parigina, si era imposto con alcuni spettacoli di forte impatto, fra cui I soldati di Jakob Lenz.
Ma la vera consacrazione l'aveva ottenuta a Milano, al Piccolo Teatro dove Paolo Grassi l'aveva chiamato nel '69 come regista stabile, dopo la clamorosa fuoriuscita di Strehler.
In via Rovello il giovane Chéreau si era presentato col memorabile Splendore e morte di Joaquin Murieta, un testo (non imperituro) di Pablo Neruda reinventato in un'immaginosa chiave metateatrale, dove la storia di un bandito ribelle veniva rappresentata prima da un gruppo di guitti, poi dai popolani cileni, trascinati dalla passione rivoluzionaria. Era seguita, qualche mese dopo, la lucida analisi politica del Toller di Tankred Dorst, sulla figura del drammaturgo che fu a capo della fallimentare Repubblica dei Consigli, nella Germania del '19, e quindi una nera, sontuosa Lulu di Wedekind.
La prorompente energia creativa di quelle proposte aveva conquistato le platee, tanto che si era cominciato a parlare di Chéreau come del successore del maestro del quale si era dimostrato degno erede. In questo senso, lui avrebbe costituito la soluzione perfetta: discepolo a distanza, continuatore ideale della linea di Strehler, capace al tempo stesso di reinterpretarla con nuova freschezza. La nomina pareva imminente, la stampa la dava per certa: poi invece, per un capriccio della sorte o una momentanea incertezza, non se ne fece nulla, e la vicenda si concluse col ritorno di Strehler.
Chéreau, tornato in patria, seguì il suo cursus honorum, la co-direzione del Théâtre National Populaire di Villeurbanne, la direzione del Théâtre des Amandiers di Nanterre. Sulle ribalte italiane si riaffacciò però più volte con spettacoli di altissimo livello: chi vi ha assistito non potrà mai dimenticare, ne La dispute di Marivaux, l'incantato giardino rischiarato dalla luna, evocato dal fedele scenografo Richard Peduzzi, col sipario del Lirico che al suo aprirsi faceva avvertire in sala una prodigiosa brezza notturna. Chi vi ha assistito non potrà mai dimenticare l'imponente spettro freudiano del suo Hamlet, in sella a un destriero scalpitante la cui corsa veniva a stento trattenuta, o il folgorante arrivo a corte dei comici, raffigurati come i Sei personaggi in cerca d'autore. E non potrà dimenticare il serrato pugilato verbale tra i due ignoti interlocutori di Nella solitudine dei campi di cotone, l'inquietante testo di Bernard-Marie Koltès, l'autore di cui lui ha fatto conoscere tutte le opere. Accanto all'attività teatrale, aveva firmato molte importanti regie liriche, dalla controversa Italiana in Algeri proposta nel '69 a Spoleto alla Tetralogia wagneriana realizzata nel '76 a Bayreuth al Tristano e Isotta che aveva aperto nel 2007 la stagione della Scala.
Negli ultimi anni il suo interesse si era rivolto prevalentemente al cinema. Aveva esordito nel '75 con Un'orchidea rosso sangue, da un romanzo noir di James Hadley Chase, e il grande successo l'aveva ottenuto vent'anni dopo con La regina Margot, mentre Intimacy, nel 2001, gli era valso l'Orso d'Oro a Berlino. Ma il teatro non l'aveva mai lasciato del tutto, tanto che stava per affrontare Come vi piace di Shakespeare all'Odéon di Parigi. L'ultima sua apparizione sulle nostre scene risale invece a due anni fa con Rêve d'automne di Jon Fosse, protagonista Valeria Bruni Tedeschi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi