Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2013 alle ore 16:44.
L'ultima modifica è del 18 ottobre 2013 alle ore 18:20.

My24

Programma nutrito per i cinefili questa settimana, soprattutto se si ha voglia di evasione. Se, infatti, al cinema d'autore possiamo ascrivere solo l'opera di Andrea Segre, La prima neve, tutte le altre uscite sono votate all'intrattenimento (quasi) puro. Partiamo allora dal secondo lungometraggio dell'autore del documentario Come un uomo sulla terra che, all'esordio nella finzione, ha strabiliato tutti con Io sono Li. Conferma il suo talento e la profondità dei suoi lavori in una Val dei Mocheni affascinante e selvatica in cui si incontrano altre due solitudini. Ma non è un amore platonico a unirli come nel film precedente, ma un'inevitabile legame pseudofiliale. Come ostacolo non c'è il razzismo ottuso di una comunità gretta ma la vita che a entrambi ha tolto troppo. All'adulto immigrato hanno strappato via la moglie e la voglia di essere padre, al bambino il padre e un pezzo d'infanzia. Andrea Segre mette ne La prima neve la dolcezza ruvida della sua capacità di racconto, un talento visivo unico e "poco italiano", la voglia di indagare sentimenti e ambienti in maniera sempre originale. Fino a tirar fuori quella tenerezza mai sdolcinata con cui conduce in porto queste due anime in cerca di un approdo. Meritatissimi i due premi al Festival di Annecy, sarà distribuito in 30 copie. E ancora un applauso alla coppia Bonsembiante-Paolini che han subito creduto in lui e che quest'anno si sono uniti anche allo splendido progetto di Costanza Quatriglio Con il fiato sospeso, il vero gioiello dell'ultimo Festival di Venezia.

Completamente diverso, ovviamente, l'ultimo film di Luc Besson: Cose nostre-Malavita, che vede in produzione Martin Scorsese (citatissimo con il suo capolavoro Quei bravi ragazzi), è tratto dal libro divertente e ben scritto di Tonino Benacquista ed è la destrutturazione comica della mafia al cinema. Robert De Niro, finalmente istrione ma non gigione come negli ultimi anni, è un boss pentito a cui l'FBI ha dato protezione in Francia. Ma picciotti si nasce e si rimane e così la moglie zittisce le malelingue con atti di piromania, la figlia si oppone alle avances dei coetanei picchiando giù duro e il suo rampollo pensa di bene di rendere la scuola il suo territorio di potere con logiche, ovviamente, da criminalità organizzatissima. E lui decide di scrivere la sua violentissima e mai pentita autobiografia. Il tono è leggero, le scene d'azione sono girate alla grande, ma ciò che tiene attaccati alla poltrona è quella quotidianità bizzarra che assomiglia più alla migliore serie dei Soprano. Piena di quell'ironia che forse manca a Escape Plan: non del tutto, perché Stallone e Schwarzy si ritrovano con il giusto grado di divertimento, ma hanno la sfortuna di essere diretti da chi non ha la loro stessa cifra narrativa, quel Mikael Hafström che già aveva mostrato tutta la sua inadeguatezza nel pessimo Il rito. Non riesce a dirigerli valorizzando quel carisma buffo e muscoloso che si ritrova la strana coppia (come Hill ha fatto con Sylvester nel geniale Jimmy Bobo – Bullet to the head), né ha l'intelligenza di farsi da parte ed essere solo d'appoggio "tecnico". Così i difetti di un lungometraggio comunque gradevole sono tutti in una direzione incerta e poco riuscita. Ma per gli appassionati di queste icone anni '80 è comunque da vedere, fosse solo per la nostalgia canaglia di un cinema che non si fa più.

Promosso, invece, Rocco Papaleo anche alla sua seconda prova da regista che davvero può definirsi, come fa il titolo, Una piccola impresa meridionale. Sembra specializzarsi, l'attore, nel genere che si è cucito addosso, questa sorta di commedia local e sociale che si diverte, con toni da favola, a raccontare universi bizzarri. Qui, in un faro, si ritrovano un prete spretato, sua madre ex professoressa e autoritaria (una grande Lojodice), una coppia di lesbiche (Potenza e Felberbaum, ottime), un musicista di talento tradito dalla sorella del protagonista (Scamarcio), una prostituta che è appena andata in pensione (Barbora Bobulova, stupenda e brava in un ruolo comico e "spinoso") e un'impresa di ristrutturazione buffa e scombinata. Certo, Papaleo dovrà fare in futuro un salto di qualità: le discontinuità di scrittura, il montaggio mediocre, alcune soluzioni visive non all'altezza, che ora gli si perdonano, devono essere raffinate. Ma la dolcezza preziosa che mette in tutto, dalla canzone della Foca a quel finale coraggioso su un tema caldo (che non anticipiamo perché è una bella sorpresa), merita comunque voti alti. Perché solo lui dimostra di sapere raccontare certe storie semplici, persino ingenue, con quel candore e quello sguardo a cui pochi crederebbero, se non fossero i suoi. E alla fine il film ti entra dentro con la delicatezza del suo regista e si deposita nel cuore e nel sorriso con cui esci dalla sala. Non altrettanto riuscito Two Mothers. Per quanto possa essere eroticamente appetibile l'accoppiata Robin Wright- Naomi Watts in versione cougar, Anne Fontaine, solitamente brava nel maneggiare strani amori, non riesce a sfruttarle al meglio e finisce per offrirci la pruriginosa storia di due madri che si innamorano l'una del figlio dell'altra. Una storia potenzialmente esplosiva che qui ha la potenza delle miccette con cui si gioca da piccoli. Il tabù diventa (pre)testo per nascondersi dietro finte trasgressioni. C'è del moralismo nel mostrare queste due madri che vogliono godersi la vita – d'altronde i loro "bambini" sembrano due modelli, come resistere loro? - e che non hanno neanche il coraggio di riconoscere ciò che li attrae in quelle storie clandestine: la tensione omosessuale tra loro due, amiche di vecchia data, che finiscono per trasferire sui nipoti acquisiti. Molto rumore per nulla, alla fine.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi