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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2013 alle ore 08:58.

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«Sebbene sia di fatto un fisico (come mostra chiaramente l'elenco delle sue pubblicazioni) la sua padronanza della matematica ha pochi rivali tra i matematici, e la sua capacità di interpretare idee della fisica in forma matematica è affatto unica. Più di una volta ha sorpreso la comunità dei matematici con la sua brillante applicazione di intuito fisico che ha portato a nuovi e profondi teoremi matematici». Così sir Michel Atiyah – a sua volta premiato con la Medaglia Fields nel 1966 – disegnava la figura di Edward Witten quando venne premiato con quella Medaglia al Congresso Internazionale dei Matematici che si tenne a Kyoto nel 1990. E in effetti, nel ristretto gruppo di giovani matematici (con meno di 40 anni) che nel corso del tempo hanno ricevuto l'ambita Medaglia, Witten ha un profilo scientifico del tutto singolare: quando ottiene il premio più alto cui un matematico possa aspirare, Witten può già vantare prestigiosi riconoscimenti per i suoi contributi alla teoria della relatività generale e la meccanica quantistica: nello stesso anno 1985 ha ottenuto infatti la medaglia Einstein della Einstein Society di Berna, e la medaglia Dirac assegnata dall'Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics (Ictp) di Trieste. Del resto, Witten si è rapidamente affermato come uno dei grandi protagonisti della matematica e della fisica teorica del nostro tempo: dopo il dottorato conseguito a Princeton a venticinque anni, e un periodo di perfezionamento ad Harvard, nel 1980 Witten è nominato professore di fisica all'Università di Princeton e, dal 1987, professore alla School of Natural Sciences dell'Institute for Advanced Study. Anche se spesso non presentate sotto forma di dimostrazioni complete, le idee di Witten hanno trovato importanti sviluppi in matematica e, per la profondità delle intuizioni e la chiarezza concettuale, le sue principali scoperte sono ben presto diventate dei teoremi. In fondo, la medaglia Fields era il riconoscimento del crescente impatto del suo lavoro sulla matematica contemporanea. Certo, come riconosceva Atiyah, «l'intuito fisico non porta sempre immediatamente a dimostrazioni matematiche rigorose, ma di frequente porta nella direzione giusta e dimostrazioni tecnicamente corrette possono poi essere trovate. E questo è avvenuto nel caso di Witten». E i riconoscimenti alla sua opera nel corso del tempo si sono moltiplicati, dal Premio Poincaré (2006) alla Medaglia Lorentz e la Medaglia Newton (entrambe nel 2010) solo per citare alcuni fra i più recenti.
La ricerca di una teoria unificata in grado di abbracciare la meccanica quantistica e la teoria della relatività generale ha costituito il costante obbiettivo teorico di Witten. In questo campo, gli sviluppi della teoria delle stringhe hanno reso il suo nome noto anche presso il largo pubblico. Negli ultimi decenni quella teoria è stata oggetto di un ampio dibattito nella comunità dei fisici. Pur avendovi dato contributi fondamentali, Witten conserva un prudente atteggiamento: secondo la teoria delle stringhe, dice Witten, «le particelle nell'universo sono composte da orbite (loops) di stringhe vibranti. Come avviene con le corde di un violino o di un piano, differenti armoniche corrispondono a particelle elementari differenti. Se la teoria è corretta, tutte le particelle elementari – elettroni, fotoni, neutrini quarks e così via – devono la loro esistenza a sottili differenze nella vibrazione di stringhe». Che cos'è in definitiva la teoria delle stringhe? Secondo Witten, «può ben essere la sola maniera di conciliare la gravità con la meccanica quantistica, ma – si chiede – qual è l'idea di base che vi sta dietro?». Mentre Einstein ha compreso i concetti fondamentali della relatività generale anni prima di riuscire a formulare le sue equazioni, la teoria delle stringhe, «è stata scoperta a pezzi e bocconi in un periodo di circa quarant'anni senza che nessuno realmente capisse cosa c'era dietro», afferma Witten. «Magari un giorno riusciremo a comprendere cos'è veramente. Ma anche se vi riusciremo, e la teoria è sul binario giusto, saremo in grado di comprendere come opera in natura? Io certamente lo spero» – confida, anche se non si nasconde che «realisticamente, tutto ciò dipende da molte incognite».
Ancora nelle più avanzate regioni di confine tra matematica e fisica, nella interazione tra teoria dei quanti, teoria delle stringhe e teoria matematica dei nodi si collocano le sue ricerche più recenti. Un nodo è un oggetto familiare e a prima vista non sembra offrire argomento di interesse matematico.
Una prima classificazione dei nodi venne proposta verso la fine Ottocento dal fisico Peter Gunthrie Tait, considerando solo nodi alternati, ossia quelli in cui il filo passa alternativamente sopra e sotto ogni incrocio. Nei primi decenni del secolo scorso, con la scoperta di invarianti associati a un nodo, furono fatti i primi passi verso la soluzione del problema fondamentale: come distinguere fra loro nodi diversi? Lo studio matematico dei nodi ha conosciuto un rinnovato interesse dopo il 1983, quando Vaughan Jones, utilizzando certi polinomi che portano il suo nome, ha scoperto un modo per associare un numero a ogni nodo: per quanto sia complicato il nodo, con un po' di pazienza si può calcolare quel numero. Ora, se il numero di Jones non è uguale a 1, il nodo non si potrà mai sciogliere. Per singolare coincidenza, come Witten anche Jones è stato premiato a Kyoto con la Medaglia Fields. La cosa sorprendente, che recenti ricerche hanno messo in luce, è che i polinomi di Jones hanno a che fare con la teoria dei quanti. Ricorrendo a concetti matematici assai sofisticati e astratti, infatti, negli ultimi anni è stato proposto un «raffinamento dei polinomi di Jones, secondo cui un nodo è un oggetto fisico nello spaziotempo a 4 dimensioni». La matematica che vi sta alla base, ha scritto Witten, «può essere compresa, magari anche meglio, usando i più moderni strumenti della teoria quantistica dei campi e della teoria delle stringhe. Probabilmente tutta quanta la storia chiama in causa idee fisiche che ancora oggi non comprendiamo del tutto». Ma non solo.

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