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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2013 alle ore 09:05.

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Un prezioso scrigno in legno di noce, con intarsi in avorio e altri legni pregiati, ancora conservato con il suo tavolino dalle gambe sottili e mosse e i piedi a riccio, è un distillato di raffinatezza rococò che gli esperti non hanno esitato a riconoscere come opera dell'ebanista torinese Pietro Piffetti (Torino 1701-1777). Solo lui è capace di tali intarsi, con acanti rampicanti, motivi di foglie merlettate e di rocailles. A lui solo spetta la precisione di una simile marquetterie inserita nelle riserve sul fianco e sul coperchio.
Unica nel suo genere, questa sorta di cassaforte trasportabile, si presenta come un bauletto bombato, dagli angoli smussati e i fianchi leggermente mossi. Era utilizzata in origine all'interno di un guardaroba o faceva parte di un corredo da toilette. Probabilmente in casa Savoia. Del Piffetti, «l'ebanista del Re», i Savoia acquistarono almeno tre esemplari di questa tipologia nel 1732, 1745 e 1760. Uno di essi è probabilmente il capolavoro che è al centro della mostra «Pietro Piffetti. Il re degli ebanisti, l'ebanista del re», aperta al Museo di arti decorative Accorsi-Ometto di Torino fino al 12 gennaio 2014 e organizzata con il Consiglio regionale del Piemonte (info 011-837688, info@fondazioneaccorsi-ometto.it).
L'occasione nasce dall'acquisto del cofano forte da parte della Fondazione Accorsi-Ometto lo scorso febbraio all'asta del 1º febbraio di Sotheby's New York. Un investimento di 146.500 dollari, più altre spese necessarie per riportarlo a casa e affidarne il restauro a Massimo Ravera del Centro Conservazione per Restauro La Venaria, sono il lodevole sforzo della Fondazione che rimpatria così un «Piffetti», riunendolo agli altri sette esemplari che il museo di via Po conserva nelle sue sale, unico per questo al mondo.
Lo straordinario nucleo raccolto da Pietro Accorsi (1891-1982) nel corso della sua attività di antiquario e collezionista annovera il monumentale doppio-corpo del 1738, gemello di quello celebre del Quirinale realizzato per lo studiolo della Villa della Regina presso Torino, un cassettone, una coppia di armadietti pensili, un leggio e due tavolini da centro. E per far venire l'acquolina ai collezionisti, la mostra ha chiamato, per salutare la new entry del museo, altri diciassette pezzi da raccolte private o altri enti pubblici e religiosi. Sì, perché non si dimentichi che il Piffetti, definito da Alvar González Palacios «il maggior ebanista della Penisola nel Settecento», eseguì anche tabernacoli, croci da tavola e oggetti d'uso come un arcolaio, che si usava per dipanare le matasse.
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