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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2013 alle ore 07:02.

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Eh no, però. «È il comunismo, bellezza» non si può sentire. Suona un po' come quando gli attori di The Passion di Mel Gibson dicevano cose tipo «Hey buddy»… ma in aramaico. Dunque, quando il direttore progetta un (insolito) numero filonewyorchese alla Jay Z featuring Alicia Keys potrebbe almeno provare a tradurre in italiano il suo pensiero interiore, che normalmente scorre in una lingua simile a una cattiva traduzione dall'americano.

Il numero in questione ha preso Bill de Blasio come scusa per recensire librerie, bar e chiese italiane di NY – perché comunque siete modaioli da messa. E questa volta mi riferisco a voi lettori, giacché, dopo aver conosciuto di persona qualche giovane free-lance di IL, non me la posso più prendere con dei morti di fame che collaborano da casa tra una puntata di Breaking Bad e l'altra, molto simili a Zerocalcare quando disegnava volantini per la squadra della parrocchia (ma forse quel punkettone comunista di Zerocalcare non fa parte dei vostri riferimenti culturali, ops).

In ogni caso, state tranquilli: «Faremo un rosso, anzi un grande rosso» non è una roba a sfondo politico. È solo D'Alema che si è messo far vini, e poi il giovane Masneri che, sapendovi fan di "vitigno francese", si è messo su questa pista assurda senza riuscire manco a parlare con un pestatore d'uva di D'Alema. Sempre per fare contenti voi fini intenditori, nonché quel fighetto del direttore, noi giovani squattrinati di IL abbiamo deciso di eleggere a motto del magazine queste commoventi parole dell'Intervista Larga: «Non necessariamente tutti quelli che hanno un aereo privato sono dei filibustieri o dei pezzi di merda». E, per pochi soldi, siamo disposti anche a trascriverlo e a professarlo.
Già. Per i soldi che voi dimenticate nelle tasche dei pantaloni buttati in lavatrice, siamo pronti a usare "Falcon Crest" e "Garlasco" come fossero aggettivi, a parlare di barche in modo tecnico (teak, Harken e Winx… pardon, winch) e a citare Dante riferendoci non al poeta, ma al figlio del nuovo sindaco pazzo di New York.
Sì, tutto per voi, cari filibustieri che venderebbero la madre in cambio di una Green card. Che invece di dire a una ragazza «Facciamo un passo indietro», dite «Facciamo "mela zeta"», e che, mettendovi con quella successiva e più giovane, sareste sul serio capaci di chiamarla «Piccola» (unica vera ragione, al di là della facilità di hackerarvi la password, per cui dovreste davvero smettere di mandare messaggini hot alle vostre amanti: cioè, per non disgustarle).

Però, secondo me, questo numero qui ha un po' sbagliato il tiro: voglio dire che l'uomo in copertina non vi rispecchia molto! Insomma, l'unica cosa che vi mette d'accordo sono i rolls all'aragosta distribuiti alla notte delle Primarie. Per il resto, il profilo di Bill de Blasio potrebbe piacere, tra i lettori di IL, al massimo a Jovanotti: la moglie ex poetessa lesbica (non avevo mai sentito "moglie" e "lesbica" nella stessa frase), il figlio uno del Cosby Show sparato negli Anni Zero, la figlia una Zadie Smith de' noantri, e lui un ex sostenitore della dittatura nicaraguense. In pratica, un ex ex comunista sposato con una ex ex lesbica solo per piacere ai gay afro della New New Left. Non è roba per voi renziani liberali. Voglio dire: o si punta all'elettorato dei new new pezzenti ex ex morti di fame, oppure ai lettori del Sole 24 Ore con un piede sempre a Newark e una bacchetta sempre nel sushi al tartufo.

Volevo dire anche che siete carini, quando provate a fare quelli alla mano, quelli come noi. Ma, con tutto il rispetto, anche se Massimiliano Gioni si guarda le stesse serie tv mie e di mio marito, è pur sempre l'uomo il cui mestiere, mentre vola vergognosamente in business class, è domandarsi se eventi come gli artisti che dipingono coi pennelli nel culo sono "game changer". Siamo noi collaboratori trentenni di IL, i veri elettori di de Blasio, gli Zerocalcare della scrittura che dormono sui divani altrui, recensiscono ristoranti dove può mangiare solo Gioni, e hanno più familiarità con l'arte come la mostrava Telemarket. Siccome spesso sono costruttiva e chiudo con una proposta, butto lì di sostituire le fototessere illustrate da quel labrador retriever di Giacomo Gambineri con delle selfie tirate giù dai nostri profili Twitter. Niente che, come del resto tutte le nostre vite, non possa essere aggiustato da un saggio colpo di "mela zeta".

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