Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2013 alle ore 09:33.

My24

Alla fine anche Edward Snowden pare aver trovato un posto nel mondo. Gira per la Russia, studia la lingua, legge Dostoevskij, si sta ambientando. È circondato da prevalente plauso e ammirazione. Putin gli dà del matto, ma lo lascia fare. La sua storia eccezionale minaccia però già d'ammantarsi di normalità, come quella del marziano a Roma. Snowden si aggrega al gruppo degli eroi smunti del XXI secolo, i guerrieri della verità e della Rete, gli spifferatori nell'interesse collettivo. Sono facce e figure che oggettivamente faticano a galleggiare a lungo nell'aria, un po' per l'unicità del loro gesto, poi per la concitazione che avvolge il momento assoluto del loro rivelarsi, quindi per il lungo addio a cui sono costretti allorché vengono accerchiati. Eppure hanno quel dato di contemporaneità, gracile ma tenace, che li rende così pertinenti al presente, che accorda loro un'istantanea dimensione leggendaria, non foss'altro perché hanno aperto una strada e indicato una direzione, soggiogando l'ennesimo luogo comune, ad esempio quello sulla distinzione tra interesse pubblico e privato.

Snowden, Julian Assange, Bradley Manning, Barrett Brown di Anonymous – che rischia di finire la vita dietro le sbarre, non si capisce pagando quale capo d'imputazione. Hanno aggiornato il concetto di sovversione, cosa che in termini occidentali sembrava una missione impossibile. Adesso sono santini nel portafogli degli under 30 impegnati, guardati con un misto di scetticismo, ammirazione e perplessità dagli altri. Casuali paladini digitali che hanno lavorato con lo stesso obiettivo: farci sapere. Rendere di pubblico dominio. Disvelare. Che cosa? Tranne un ristretto manipolo di addetti, in effetti noi lo sappiamo solo a spanne approssimative. Snowden e colleghi ci hanno confermato quel che genericamente sospettavamo, se ci fossimo fermati a pensarci: il controllo preventivo – cioè il monitoraggio delle intenzioni, oltre che delle azioni, di chiunque sia vagamente sospettabile – è un dato di fatto ovunque, messo in pratica con metodi, mezzi e intensità diverse, ma onnipresente nelle varie declinazioni di democrazia del XXI secolo, in apertura al capitolo «sicurezza». I Governi danno via libera ad agenzie che hanno fondi e forze sufficienti per attivare un controllo capillare, per quanto non particolarmente "intelligente", sulla comunicazione tra gli individui, dal momento che oggi la comunicazione è l'incubatore del pericolo sociale.

Gli alfieri della controinformazione digitale, della resistenza globale al Grande Fratello riescono periodicamente a impossessarsi di un brandello di questa rete di controllo e la trascinano fino alla superficie, dove tutti la possiamo guardare, scuotendo la testa e sentendoci un po' più osservati e forse minacciati, anche perché forse in quel preciso istante qualcuno, da qualche parte, ci sta sorvegliando. Poi questi eroi si cristallizzano, eternizzati nella loro prematura condizione esule, o di prigionieri, in un certo senso svuotati dopo lo scoop, fatalisticamente disposti alle conseguenze. E noi restiamo di fronte ai materiali scottanti, alla montagna di rivelazioni, all'attesa di altre che seguiranno, consapevoli che la privacy è un valore che è stato recentemente edificato (Trent'anni? Quaranta? Cinquanta? Da quanto abbiamo sancito la sua inviolabilità?) salvo subito dopo farne un mito, se non un'utopia.

Quanto ai segreti rivelati, ai misteri, alle vere ragioni alla base di vicende altrimenti inspiegabili, noi, nella maggior parte dei casi, che cosa facciamo? Prendiamo nota e passiamo oltre. Come se rimandassimo il confronto, la presa di coscienza. Le rivelazioni sono scottanti, sì, ma abbiamo già i problemi della nostra vita. Dunque, che cosa abbiamo intenzione di farci, con questa montagna di informazioni de-secretate, con questi sigilli infranti, con questi fantastiliardi di dati di colpo a nostra disposizione, «accessibili», come scrivono i siti web? Dicono che sono le cose che abbiamo diritto di sapere, in quanto cittadini. Ma davvero le vogliamo sapere? Ancor di più, davvero ci importa? Non è un'illusione etica? La condizione di controllati deprime il nostro quotidiano moderno, ma c'è anche chi ci dice che, se non fosse così, le Torri gemelle verrebbero giù ai quattro angoli del mondo. E una volta rimosse dalle prime pagine, dove finiscono, dove invecchiano tutte queste rivelazioni? Che fine fanno le informazioni che abbiamo letto essere d'importanza decisiva per conoscere le vere intenzioni di quella certa nazione o di quel Governo? Perché tardano ad andare in scena le conseguenze finali di queste scoperte?

Sembra che il gioco consista più nello scoprire che nel sapere. Che una nuova forma di pensiero debole si sazi con lo smascherare il meccanismo di sorveglianza che presiede al nascondino contemporaneo cui giochiamo fin dalla prima mattina a colpi di password, codici ed e-mail. Il valore che ci vende è l'istantanea accessibilità alla comunicazione, ai consumi e alla produzione. Ma la sua violazione, la sua penetrazione, la sua difesa e la sua capitolazione rischiano di diventare l'intreccio del nostro impegno giornaliero.

Perfino la partecipazione politica finisce per nutrirsi di questo. Ne fa addirittura la motivazione sufficiente per parlare di «rivoluzione». Siamo tutti meno spavaldi, più spaventati e guardinghi. Siamo un popolo di sminatori. E scandalizzarsi diventa una chiave di partecipazione politica. I contenuti restano indietro, i cattivi sono sopra e sotto, nascosti, e noi siamo in mezzo e non dobbiamo farci stritolare. Ma ora ci sono tutte le cose che sappiamo, o che potremmo sapere se avessimo voglia di leggerle, di tuffarci nell'oceano di dati divenuti accessibili. Sono informazioni scandalose, che confermano i peggiori sospetti. Ma sono anche beffarde, mentre giacciono inerti. Perché certamente ne stanno producendo già altre, ancor più maligne e misteriose. Scegliere di vivere da verificatori, controllori di chi ci ha controllato, perversi guardiani di una società non più così invincibile, ha un sapore assurdo. Che conterrà pure un lodevole quantitativo di verità, ma che, più ci pensiamo, più ci porta lontano dalla realtà.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi