Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2013 alle ore 18:55.
L'ultima modifica è del 27 ottobre 2013 alle ore 20:46.

My24

L'ha vista, l'ha raccontata, l'ha sentita vicina, l'ha accarezzata e se l'è lasciata alle spalle così tante volte in 71 anni che pare quasi impossibile abbia dovuto arrendersi a lei alla fine. Lei è la morte, «compagna di viaggio» prima che fonte d'ispirazione della sua arte tormentata. Lui è Lou Reed, il poeta con la chitarra elettrica che Andy Warhol arruolò affinché, da New York, tingesse di nero la rivoluzione multicolore degli anni Sessanta, morto a cinque mesi da un problematico trapianto di fegato che ha tenuto con il fiato sospeso amici e fan.
Si sa come vanno certe cose: prima o poi arriva inesorabile il giorno in cui il corpo ti chiede conto di una gioventù di eccessi. Nel caso del fondatore dei Velvet Underground (fortunatamente per noi) arriva persino in ritardo, se consideriamo i fiumi di sostanze oppiacee con cui, da giovane rocker maledetto della Factory, era solito sciacquarsi le vene. Alla morte ci andò molto vicino nei primissimi anni Settanta proprio alla fine della sua esperienza con i Velvet, per un'infezione causata dall'uso di una siringa usata chissà quante volte. Se la cavò e si sdebitò con la sorte regalandoci altri 40 anni di grande musica e – alla faccia di tanti parrucconi accademici – pagine di alta letteratura. Oggetto misterioso per chi è abituato a misurare l'appeal di un musicista con il numero di copie vendute, in quanto a peso sulla storia del rock e della cultura occidentale Reed se la gioca con Beatles, Hendrix e Dylan. Chi avesse dubbi a riguardo può chiedere a Brian Eno, uno che se ne intende: «Il primo album dei Velvet Underground – disse in un'intervista - vendette solo diecimila copie, ma tutti quelli che lo comprarono hanno formato una band». Il riferimento è ovviamente a «The Velvet Underground & Nico», anno di grazia 1967, prime (fondamentali) prove di songwriting per Mister Reed, produzione e copertina con banana sbucciabile di Warhol.

Warhol e i Velvet Underground

La leggenda di Zio Lou comincia proprio sotto l'aura protettiva del profeta della Pop Art che incoraggia e contribuisce al lancio di questa atipica band newyorkese capace di mescolare il rock con l'avanguardia. Reed, studente di letteratura della Syracuse University, origini ebraiche e pulsioni nichiliste, ne è il fulcro, l'autore e l'attore principale. Warhol capisce subito la portata esplosiva di brani psicotropi come «Heroin» e «Waiting for the man», i riferimenti al barone Sacher Masoch di «Venus in Furs», i quadretti di perdizione di «All tomorrow's parties» e «Femme Fatale». Ci mette sopra il cappello. Un «cappello» attraente: la modella e chanteuse tedesca Nico, già nota al pubblico de «La dolce vita». Ma Reed non è il tipo da farsi mettere cappelli in testa: prima si sbarazza di Warhol e Nico, poi dell'avanguardista gallese John Cale che nei Velvet si alternava tra piano, tastiera e viola elettrica, quindi – quando capirà che la «squadra», a quattro dischi pubblicati, non gioca più per lui ma per il nome che s'è fatta in certi ambienti – alzerà i tacchi.

Bowie, il «Wild Side» e Berlino

Nei Seventies, il periodo in cui la sua salute è messa a dura prova dagli eccessi, il rocker newyorchese dà il meglio di sé: la partnership con David Bowie, suo fan britannico, vale oro e regala alla musica una pietra miliare come «Transformer», l'album della sognante «Satellite of Love», della epica «Perfect day» ma soprattutto della beffarda «Walk on the wild side», tanto elegante e jazzy nell'arrangiamento quanto rude ed esplicita nel testo. La vecchia Europa gli ispira «Berlin», concept opera che eleva l'autodissoluzione a teorema esistenziale. Di quegli anni è anche «Rock and roll Animal» che, se esistesse un'università del rock, sarebbe il libro di testo per preparare l'esame di performance live. Potrebbe campare di rendita ma non è il tipo: in «Metal Machine Music» - tra distorsori, feedback e suoni gutturali - inventa inconsapevolmente il death metal. Gli danno del pazzo, lui fece spallucce: «E allora? Sto qui per divertirmi».

Quando la musica salva la vita

Costante della sua sterminata produzione: quando realizza un'opera fondamentale, Reed sorprende tutti con un progetto che vale un azzardo. «New York», omaggio del 1989 alla città in cui è nato e che lo ha ispirato, è forse l'ultimo suo capolavoro. Dischi in forza dei quali fai pace persino con operazioni come «Lulu», in coabitazione con i Metallica. Roba da scontentare sia i suoi fan che quelli del thrash metal. Serve poi una certa generosità a parlar bene della sua attività di fotografo di paesaggi newyorchesi o della prova da regista di «Red Shirley», documentario del 2010 nel quale intervista la cugina ultracentenaria profuga polacca negli States che conserva memoria delle due guerre. Si sa che a frequentare artisti concettuali – la sua compagna era una certa Laurie Anderson – acquisti parecchia autoindulgenza. A zio Lou però bisogna perdonare tutto. Perché, proprio com'è accaduto alla piccola Jenny da lui ritratta in «Rock and Roll», la musica ci ha salvato la vita. La sua musica.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi