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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2013 alle ore 17:50.
L'ultima modifica è del 12 novembre 2013 alle ore 13:19.

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Alessandro Haber ne "Il visitatore"Alessandro Haber ne "Il visitatore"

C'è una scena, plasticamente espressiva, che rimane impressa. Seduto a terra, avvinghiato a una gamba, c'è nientemeno che Dio, calato nei panni di un misterioso e inquietante visitatore introdottosi nella casa di Freud, che s'inginocchia, si abbassa e si fa umile al cospetto di quell'uomo. Lo tiene stretto mentre questi parla dei suoi dubbi; lo guarda dal basso verso l'alto, con tenerezza e determinazione.

Sembra un fool shakesperiano, un matto che può permettersi di dire verità scomode. Sono quelle che, fino a allora, ha continuato a porre al suo interlocutore, il razionale Freud, col quale ingaggia un corpo a corpo verbale, un duello di opinioni, di pensieri, di concetti, che sollevano dubbi, riflessioni, ripensamenti. Sull'esistenza di Dio. Sul Bene e sul Male. Sull'amore, la religione, la libertà, la storia, il senso della vita. Insomma, sui massimi sistemi.

Ed è, sembra, sul sottile filo della pazzia che ruota la messa in scena di Valerio Binasco de "Il Visitatore" (1993) di Eric-Emmanuel Schmitt. Perché, quell'inquietante signore comparso all'improvviso a fare visita al padre della psicanalisi, è un pazzo che dice di essere Dio in persona? O è Dio, che gioca a sembrare un pazzo? O è veramente uno squilibrato scappato dal manicomio? Angelo o diavolo tentatore che sia, la partita è aperta. E inevitabilmente ci coinvolge, patteggiando ora per l'uno, ora per l'altro nell'identificarci dalla parte di chi crede o di chi è scettico, di chi si ostina a negare l'esistenza di Dio e di chi invece si lascia andare ad ammetterne la presenza, a sentirne il bisogno struggente. Tutto questo si svolge dentro la cornice storica della tragedia del nazismo. Tutto in una sera. Quella del 22 aprile 1938.

Da un mese l'Austria è annessa al Terzo Reich. Siamo a Vienna, nella casa di un Freud invecchiato, tormentato dal cancro alla gola di cui presto morirà, che deve trovare la forza di firmare una carta per poter lasciare la sua città e cercare, in quanto ebreo, scampo altrove. Ma irrompe un caporale della Gestapo che, insultato dalla figlia Anna, la arresta. Rimasto solo, e sull'orlo della disperazione, subisce un'altra incursione o meglio, una "visita": quella dello sconosciuto in questione, che non dichiara il proprio nome e comincia a inquietarlo dimostrando che sa tutto della sua vita, della sua infanzia, dei suoi pensieri più nascosti.

Da qui l'inizio del dialogo serrato in cui quello che lui crede un impostore, lungi dall'idea di volerlo convertire, cerca di smontare ogni sua teoria di ateo. E la frase finale "L'ho mancato", di tagliente ironia, che Freud esclama dopo aver sparato un colpo di pistola sul visitatore, dileguatosi dalla finestra, per costringerlo a restare, dice tutto sul rapporto instauratosi tra i due tenaci lottatori che, insieme, poco prima, avevano ceduto ad un momento di bellezza ascoltando la musica di Mozart. Forse, però, si è trattato per Freud solo di un sogno, o di un dialogo con l'inconscio. E la scenografia, una stanza realistica tagliata a metà e con una parte immersa nel buio da dove affiorerà il visitatore, ne evidenzia la dualità.

Visto l'argomento della pièce si penserebbe che ci troviamo di fronte ad un tedioso dramma filosofico, ad una disputa cervellotica, ad una trappola ben confezionata della retorica teologica. E invece siamo dentro una commedia brillante, intelligentemente leggera, a tratti commovente, esilarante, che ci fa sorridere ponendoci quesiti seri, esistenziali, che riguardano tutti noi. Merito di due attori, Alessandro Haber e Alessio Boni (e con Francesco Bonomo e Nicoletta Robello Bracciforti), in grande empatia fra loro, di somma bravura per impegno fisico e concentrazione interiore, perfetti nei ruoli rispettivamente di Freud e di Dio, immersi pienamente nell'umanità fragile dei loro personaggi. E va dato atto al coraggio della scelta di Binasco nel proporre questo testo (solo una volta rappresentato in Italia, con Turi Ferro e Kim Rossi Stuart), nello sfidare l'ottundimento televisivo delle menti e dello spirito, l'imperante intrattenimento ridanciano, e ribadire così la fiducia nel valore delle parole, e nella capacità che esse hanno ancora di creare rapporto tra gli esseri umani, e, forse, anche di cambiarli. Sfida vinta magnificamente, perché lo spettacolo tiene inchiodati alla poltrona senza accorgerci del tempo trascorso. Perché, senza determinare vincitori o vinti, lascia ciascun spettatore con una propria domanda, una propria riflessione, un pensiero in azione. Uno spettacolo che piacerebbe sicuramente a Papa Francesco.

"Il Visitatore", di Éric-Emmanuel Schmitt, con Alessandro Haber e Alessio Boni, e con Francesco Bonomo e Nicoletta Robello Bracciforti, regia Valerio Binasco, musiche Arturo Annecchino, scene Carlo De Marino, costumi Sandra Cardini. Produzione Goldenart. Al Teatro Franco Parenti di Milano, dal 6 al 17 novembre. In tournèe a Lugano, Savona, Foggia, Ancona, Palermo. www.teatrofrancoparenti.it

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