Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2013 alle ore 13:31.

My24

Il primo impulso è di esclamare che abbiamo scoperto un nuovo, eminente diarista. Si chiama Massimiliano Majnoni d'Intignano (1894- 1957), era un nobile cattolico d'origini milanesi, e nel '43-'45 si trovava a capo della Rappresentanza romana della Banca Commerciale, crocevia dell'antifascismo militante. Fra i tappeti rossi, gli stucchi e le stanze ovattate della sede di Palazzo Colonna, riempiva fittissimi quaderni, che ora possiamo inquadrare fra le più incisive testimonianze coeve, accanto alle pagine di Croce, Calamandrei, Papini, Andrea Damiano, Salvatore Satta, Prezzolini (da New York), Luigi Einaudi (dall'esilio elvetico) e Giovanni Ansaldo (dai campi di prigionia tedeschi).

Gli ingredienti per un diario comme il faut ci sono tutti. Una penna scarna e tagliente. Il «silenzio partecipante» del suo sguardo malinconico. Alcuni stuzzicanti retroscena (ad esempio, sulla Missione economica italiana negli Usa o sulle «elargizioni» alla Resistenza). Un oceano di voci, di storie e di personaggi. Oltre un migliaio i nomi in agenda. Sono banchieri (Pizzoni e Menichella), ambasciatori (Carandini e Myron Taylor), docenti (Concetto Marchesi, Vittore Branca, Carlo Dionisotti, Piero Treves), economisti (Felice Guarneri e Antonio Pesenti), giuristi (Massimo Severo Giannini), imprenditori (Cini, Pirelli, Gaggia), militari (Raffaele Cadorna), uomini politici (Nitti, Orlando, Bonomi, Soleri, Nenni, Lussu, Amendola), aristocratici «ribelli» (Giuliana Benzoni) e non (Umberto di Savoia), letterati e giornalisti (Cardarelli, Malaparte, Silone, Moravia, Pancrazi). La vecchia classe dirigente e quella nuova, in fieri. Una nebulosa in cui brilla una sola stella fissa: Raffaele Mattioli, amministratore delegato della Comit, capace di «incanalare le attività altrui verso uno scopo da lui desiderato».

Il marchese Majnoni ama dipingersi come l'ultimo rampollo d'un «mondo di ieri» ormai al tramonto (un mondo, per la verità, più consono all'ancien régime di Chateaubriand e de Maistre che al Risorgimento di d'Azeglio). Annota con civetteria di non aver «mai letto una riga di Carlo Marx». Il suo antifascismo è denso di umori impolitici e privo d'ogni anelito al lavacro morale. Eppure, resta legatissimo al coetaneo Mattioli, ben più «borghese» e illuminato di lui. Una curiosa simbiosi, fortificata dal l'emergenza bellica. Anche se, di fronte alla «bancarotta fraudolenta» del paese, il diarista sogna spesso di ritirarsi a vita privata, gentleman farmer nella sua tenuta di Marti (Val d'Arno). È la tentazione della «casa in collina», o forse il ritorno all'ordine naturale delle cose, riflesso nella sua fede religiosa.

Il Partito d'Azione è la pietra dello scandalo di queste pagine. La Comit, come è noto, era un «caravanserraglio» di congiurati azionisti. Il monarchico Majnoni li gratifica con gli epiteti più ingenerosi: «poveri mazziniani da strapazzo», «plebei, nel senso piccolo borghese della parola», ossessionati da «una corsa al cadreghino, sfacciata, e malgrado tutto antiquata». Al confronto, i comunisti hanno ben «altra linea». E infatti sono sempre menzionati con il dovuto rispetto («in certi campi i reazionarii e i comunisti si trovano d'accordo»). L'unico a salvarsi, fra i militanti del PdA, è forse Raimondo Craveri, mentre Ugo La Malfa viene raffigurato come «un siculo cerebrale e argomentante a vuoto», mosso dalla «presunzione smisurata che lo porta a credersi l'unico uomo d'Italia idoneo a farla risorgere». Toni sin troppo aspri, tipici di chi, da buon conservatore, tende a reputare il fascismo non già l'autobiografia della nazione, quanto un mero accidente storico: come se la catastrofe italiana fosse riconducibile a un impalpabile morbo metafisico. Eppure, nella sua insofferenza per la politica («Se si cominciasse a fare dell'amministrazione pura e semplice!»), Majnoni sembra lucidamente prefigurare l'avvento di quel l'homo totus politicus all'origine di molte nostre storture. Del resto, e lo ammetteva anche il figlio dei «lumi» Isaiah Berlin, i reazionari sono a volte più lungimiranti dei loro colleghi progressisti, accecati dal bagliore dell'avvenire e propensi a «distruggere senza saper ricostruire», come scrive ancora il nostro diarista.

Un discorso a parte merita l'onnipresente Enrico Cuccia, vicino a La Malfa e delfino di Mattioli. Qui Majnoni, forse ingelosito, trasuda un'animosità esistenziale: «Cuccia sembra una di quelle scimmie indemoniate che in un circo, agitando le braccia e il giubbotto rosso continuano, energumene, a saltare da un trapezio all'altro. Al principio ti interessi al loro giuoco; poi ti secchi e pensi ai casi tuoi e le lasci saltare agitate e inconcludenti». Siamo ben distanti dal l'icona del banchiere felpato e tenebroso che prevarrà nei decenni successivi! La penna muriatica del marchese non risparmia neppure gli uomini a lui culturalmente più affini. Il neo governatore della Banca d'Italia (dal gennaio '45), Luigi Einaudi, gli dà l'impressione d'essere «un vecchietto intelligente, e pieno di vita; ma ancora completamente ignaro di quel che sia la Banca d'Italia. Ci vorrà un pezzetto prima che si orienti». Mario Praz, in apparenza affabile, è invece un «torbido». Vivacchia sempre «fra la donna, la carne e il diavolo», distinguendosi per l'«avarizia sordida». Quando l'anglista lo invita nella sua casa-museo di Palazzo Ricci, gli offre «un thè spilorcio e una tortaccia di miele e segatura».

In questo brulicante diario, spiccano due nomi felicemente inattuali. Entrambi operanti negli interstizi della cultura italiana, hanno tuttavia lasciato un'impronta indelebile. Il primo è il sacerdote Giuseppe De Luca, umanissimo confidente di Majnoni (il loro carteggio, curato da Sebastiano Nerozzi per le Edizioni di Storia e Letteratura, è il giusto complemento del presente volume). Il secondo è Bobi Bazlen, il non-autore onnivoro e poliglotta che visse cancellandosi, ma lasciando ai posteri una quantità sgomentevole di consigli editoriali, infine accolti da Adelphi. Un folletto che, nel '43-'45, rimbalza illeso fra le macerie d'Italia. Come fosse uscito da un libro di Robert Walser.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi