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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2013 alle ore 08:16.

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È proprio così, viaggiamo tra uomini. E, a meno che uno non sia un misantropo o uno zoologo di professione, sono gli uomini a interessarci. Una città senza cittadini è lo spettacolo più angosciante che si possa immaginare. Ma lo è anche una città piena di turisti. Per questo bisogna fare di tutto per stare là dove i turisti non hanno alcun interesse a stare.

In questi ultimi dieci anni, per motivi di lavoro o di diporto, ho viaggiato molto. Un tempo mi attenevo a un principio fin troppo selettivo: visitare solo Paesi del G7, ovvero nazioni in cui il gap culturale non mi scioccasse. Con gli anni ho scoperto che non esiste niente di più suggestivo d'una certa eleganza coloniale. Liberatomi dall'impaccio di dover vedere tante cose ho capito che in viaggio uno deve stare più comodo di quanto non stia a casa. Che l'idea stessa di viaggio come fatica improba è una perversione stakanovista. Una serata a teatro a Melbourne, una stanza d'albergo di Hong Kong, un'appartata tea room di Shanghai, una corsa in taxi per Buenos Aires... Questi sono i ricordi più cari dei miei viaggi.

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