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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2013 alle ore 14:45.

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Il Torino Film Festival ai piedi di Pawel Pawlikowski: il regista polacco ha emozionato la kermesse piemontese con «Ida», la sua ultima opera inserita nella sezione «Festa Mobile». Ambientato nella Polonia degli anni Sessanta, il film ha per protagonista una giovane novizia, rimasta orfana in tenera età. Prima di prendere i voti, viene mandata a Varsavia a conoscere sua zia: grazie a quest'ultima scoprirà diversi segreti del suo passato e di quello dei suoi genitori, scomparsi durante la seconda guerra mondiale.

Vincitore del premio della critica all'ultimo Festival di Toronto, «Ida» è una pellicola di grande eleganza formale, contrassegnata da una splendida fotografia in bianco e nero e da un'accurata selezione di brani di musica classica nella colonna sonora.

Se l'apparato visivo è di primo livello, altrettanto significativo è il tema della ricerca delle proprie origini che si trasforma in un viaggio all'interno di un ventennio di storia della Polonia. Ottima performance dell'attrice esordiente Agata Trzebuchowska che, nei panni della protagonista, riesce a dare un ulteriore valore aggiunto a uno dei film più toccanti e poetici visti sul grande schermo negli ultimi tempi.

Toni molto diversi sono quelli di «Blue Ruin», duro ritratto della provincia americana diretto da Jeremy Saulnier. La pellicola si apre mostrando la vita di Dwight Evans, un senzatetto del Maryland che dorme in una vecchia automobile, si lava nei bagni delle case vuote e rovista nei cassonetti della spazzatura in cerca di cibo. Quando scopre che l'assassino dei suoi genitori sta per tornare in libertà, decide di mettere in atto una terribile vendetta.

Inserito in concorso, «Blue Ruin» è introdotto da una lunga sequenza, muta e realizzata con grande senso del ritmo, che difficilmente potrà lasciare indifferenti. Nel prosieguo, la pellicola alterna momenti dal forte impatto emotivo ad altri decisamente più forzati e banali. Saulnier, alla sua seconda prova dietro la macchina da presa dopo «Murder Party» (2007), dimostra di avere un ottimo talento visivo (prima di diventare regista è stato per tanti anni un direttore della fotografia) che, però, non viene sempre supportato da una sceneggiatura all'altezza.

Convince a metà anche «Enough Said» di Nicole Holofcener, con James Gandolfini e Julia Louis-Dreyfus. I due vestono i panni di Albert ed Eva, cinquantenni con diversi punti in comune (entrambi sono separati dai rispettivi partner e hanno una figlia in età da college), che si conoscono e provano a innamorarsi l'uno dell'altra. Tutto pare funzionare fino a quando Eva, massaggiatrice di professione, scopre che tra le sue clienti c'è l'ex moglie di Albert. Nonostante possa apparire piuttosto scontato, «Enough Said» riesce a regalare alcuni colpi di scena che tengono alto il ritmo della narrazione. Il risultato è un prodotto gradevole, senza particolari pregi o difetti, che soffre di qualche calo soltanto con l'approssimarsi della conclusione. Buona prova del compianto James Gandolfini (l'attore è scomparso lo scorso giugno) che si rivela efficace anche in un ruolo molto diverso da quello del suo celebre Tony Soprano.

Infine, una menzione negativa per «The Way Way Back», una commedia di buoni sentimenti ma di bassa qualità, diretta da Nat Faxon e Jim Rash, i due sceneggiatori di «Paradiso amaro» di Alexander Payne. Il racconto dell'estate del quattordicenne Duncan, che in vacanza con la madre e il patrigno trova conforto in un impiegato di un parco acquatico, non morde come avrebbe potuto e risulta piuttosto superficiale. Il cast è ricco (da Sam Rockwell a Steve Carell, passando per Toni Collette) ma la migliore è la poco conosciuta Allison Janney nel ruolo di una vicina logorroica.

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