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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2013 alle ore 13:48.

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Nel panorama teatrale contemporaneo Lenz Rifrazioni, con la loro grammatica scenica-installativa, la rigorosa pratica artistica, l'esclusivo linguaggio estetico, il radicale senso espressivo, rappresentano una compagine unica, per la quale la parola "ricerca" continua ad essere motore della loro visione. Da Shakespeare a Goethe, da Ovidio a Kleist, ogni nuova elaborazione drammaturgica è un autentico viaggio dentro una visione del mondo. E dell'uomo. Il nuovo approdo è ora col grande romanzo storico di Manzoni "I promessi sposi", attraverso cui indagare gli archetipi della cultura italiana per interpretare l'oggi. Nell'enorme stanzone che ci accoglie, la visione scenografica è folgorante. Una luminosa installazione a forma di edificio quadrato, sezionato da alti velari grigi che creano una serie di stanze interconnesse da ampie fessure negli angoli, schiuse sulle pareti e sul percorso da uno spazio all'altro.

Da queste aperture si può sbirciare l'interno, mentre, muovendoci attorno all'impalpabile struttura trasparente, scegliendo e cambiando liberamente il punto di osservazione, possiamo seguire il dipanarsi del racconto nei corpi degli interpreti, anch'essi deambulanti. Questi hanno la fisicità, fragile e potente allo stesso tempo, di un gruppo di attori "sensibili". Sono ex lungodegenti psichici e persone con disabilità intellettiva – affiancati dal nucleo di attori storici della compagnia -, da anni soggetti attivi del lavoro teatrale perseguito da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto. Recitano senza filtri, tra verità e rappresentazione, aderendo al loro vissuto e alle loro emotività, controllata da parole recitate, "dette", che fungono da griglia, creando contemporaneamente una distanza e una immedesimazione con i personaggi della storia. Storia di umili, di ultimi, di esclusi, di semplici. Come lo sono loro. E a loro, soggetti creativi, appartengono, del testo, frammenti sparsi di un canovaccio di frasi e di parole nate da un vissuto personale, di stati d'animo o filtrato dalla memoria: dissertazioni rientranti sempre nella scrittura narrativa del romanzo ma che accadono hic et nunc. In questa rielaborazione operata da Lenz, di straordinaria ed emozionante sintesi, le vicende manzoniane sono tracce fisiche di anime che si muovono dentro un habitat di stanze con materassi sparsi che diventano giaciglio, lazzaretto, piedistallo.

In ventiquattro scene trovano corpo Don Abbondio, Renzo e Lucia, Frà Cristoforo, Don Rodrigo e tutti i personaggi, alcuni dei quali moltiplicati. Se Lucia è sdoppiata, la monaca di Monza è rappresentata nelle diverse età di bambina, donna, anziana; mentre, il cardinale Borromeo e l'Innominato vivono nell'alterazione timbrica di un unico attore. Di questo sentiamo la voce mentre una proiezione ne suggerisce l'immagine color rosso distorta verticalmente. E di rimandi pittorici vive la scenografia attraverso proiezioni sui velari che sono finestre dentro le quali vivono corpi allungati che ricordano le sculture di Giacometti, le figure di Modigliani, o di El Greco. Ma tutta la messinscena vive di arte figurativa: un impianto che respira col magma sonoro drammatizzato da Andrea Azzali partendo dalla rielaborazione musicale del "Requiem" di Verdi. Tutti i concetti dell'opera manzoniana – oppressione, debolezza, viltà, sottomissione, giustizia e ingiustizia, sofferenza, espiazione, speranza – trovano, dentro questa texture, una forte enfasi. Come la sequenza della rivolta del pane ripetuta da Renzo mentre raccoglie da terra mucchi di tute da lavoro. Sommossa che trova eco nella drammatica questione del lavoro del nostro tempo. Ma più forte di tutto è il tema dell'amore. Quello che Don Abbondio, rivolgendosi a Dio con una croce in mano, dice di non avere, mentre accanto a lui Renzo e Lucia si scambiano parole di tenerezza. E su di loro, sdraiati dolcemente sul materasso, come in attesa del concepimento, si chiude questa toccante messinscena, dove emerge "l'uomo con la sua intransigente moralità, con le sue aspirazioni tradite, vinto e tuttavia superiore al mondo".

"I promessi sposi", drammaturgia e imagoturgia di francesco Pititto, regia, installazione, costumi Maria Federica Maestri, luci Gianluca Bergamini, musica Andrea Azzali. Creazione per natura Dèi Teatri 18 e Bicentenario Verdiano. A Parma, Lenz Teatro. Fino all'1 dicembre.

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