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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2013 alle ore 12:29.
L'ultima modifica è del 29 novembre 2013 alle ore 12:30.

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Nela foto una scena de «L'image manquante» del cambogiano Rithy PanhNela foto una scena de «L'image manquante» del cambogiano Rithy Panh

Il cinema documentario ancora protagonista al Torino Film Festival 2013: dopo il maestoso «Il treno va a Mosca», ancora oggi uno dei titoli più suggestivi dell'intera kermesse, sorprende e toglie il fiato «L'image manquante» diretto dal cambogiano Rithy Panh.
L'autore torna sull'evento che ha segnato la sua infanzia e la sua intera filmografia: il genocidio operato dai Khmer rossi di Pol Pot.
Dopo aver cercato per anni una fotografia in grado di provare quei crimini di massa, il regista decide di crearla lui stesso grazie all'aiuto di piccoli pupazzi d'argilla.
Vincitore della sezione «Un certain Regard» dell'ultimo Festival di Cannes, «L'image manquante» è un viaggio nella memoria di un popolo che non potrà mai dimenticare l'orrore che ha subito.
Rithy Panh, che al momento dell'ingresso delle truppe di Pol Pot a Phnom Penh aveva nove anni, utilizza le potenzialità del cinema e della macchina da presa per mostrare ciò che non può essere mostrato: una testimonianza che manca e che, per questo, si può ottenere solo plasmando quella terra rossa da cui rinasceranno le figure di un passato tenuto nascosto troppo a lungo.
Toccante e commovente, «L'image manquante» è uno dei film più importanti che si siano visti quest'anno sul grande schermo: la speranza è che venga distribuito al più presto anche in sala.

Documentario più tradizionale è «Tarr Béla: I Used To Be a Filmmaker» di Jean-Marc Lamoure, un ritratto del grande autore ungherese Béla Tarr durante le riprese del suo ultimo film, «Il cavallo di Torino», Orso d'Argento al Festival di Berlino del 2011.
Il lavoro di Lamoure permette di conoscere il dietro le quinte di un capolavoro, il modo di lavorare del regista e i trucchi a cui ricorre per creare determinati eventi atmosferici.
Consigliato unicamente a chi conosce e ama il cinema di Béla Tarr, figura tre le più importanti della storia della settima arte.

In concorso è stato presentato il giapponese «A Woman and War» di Junichi Inoue, film tra i più crudi e scioccanti visti quest'anno sotto la Mole. Ambientato nel corso della seconda guerra mondiale, vede protagonisti uno scrittore fallito, una prostituta frigida e un soldato mutilato: tutti e tre cercheranno faticosamente di sopravvivere in un mondo segnato dal male e dalla disperazione.
Nonostante sia un esordiente, Junichi Inoue dimostra già una discreta maturità registica, seppur il suo stile ricalchi troppo quello di Koji Wakamatsu, autore scomparso nell'ottobre del 2012, tanto da risultare fin manieristico.
Se la messinscena funziona, quello che manca a «A Woman and War» è una riflessione seria sul periodo storico rappresentato che vada oltre il semplice desiderio di scandalizzare a tutti i costi.

Menzione pienamente negativa, invece, per «Plus One», opera terza del greco Dennis Iliadis dopo «Hardcore» (2004) e il remake de «L'ultima casa a sinistra» (2013).
Presentato nella rassegna «After Hours», il film racconta di un gruppo di liceali alle prese con l'organizzazione di una festa. Nel corso della serata, un gigantesco meteorite colpisce la terra e gli effetti saranno bizzarri e devastanti.
Scritto e girato con scarsa creatività, «Plus One» è una teen-comedy fantascientifica che provoca noia e sbadigli più che risate e spaventi. Il regista rivela scarsa dimestichezza con la macchina da presa e nessuno dei tanti giovani attori in scena si dimostra all'altezza della situazione.

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