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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2013 alle ore 13:44.

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«È mai possibile che di teorie ben sottili come il Dna o la fusione nucleare o l'origine dell'Universo, si possa dare un'idea abbastanza chiara anche a chi non ha studiato cose di scienza, mentre invece, della matematica, non si possa far capire nulla?». A porre questa domanda è Emma Castelnuovo, la più audace innovatrice italiana di didattica della matematica, che il prossimo 12 dicembre compirà 100 anni. Si può dire, senza esagerare, che ha speso tutta la sua lunga e operosissima vita a dare risposte positive a questa domanda, formulata nella prefazione di Pentole, ombre, formiche (La Nuova Italia, 1993).
Appena vinto il concorso Emma Castelnuovo fu espulsa dalla scuola, in quanto ebrea. Era il 1938 e gli ebrei romani reagirono a quel sopruso con grande determinazione, riuscendo a mettere in piedi in pochi mesi una scuola israelitica, dove la giovanissima Emma, figlia di Guido Castelnuovo, fu chiamata ad insegnare alle classi magistrali. Accortasi che i programmi di matematica non rispondevano alle esigenze degli allievi prese parte, in piena guerra, ad un intenso lavoro di ricerca che vide un piccolo gruppo riunirsi con regolarità a casa di Federigo Enriques, suo zio, matematico, filosofo e storico della scienza di grandissima levatura.

«Fu lui ad insegnarmi a guardare lo spazio con gli occhi della mente e a considerare fondamentale la storia della matematica nell'insegnamento». Due idee che stanno alla base del metodo che mise a punto dopo appena quattro anni di insegnamento nella scuola media, quando pubblicò, nel 1949, la prima edizione della sua Geometria intuitiva: un testo che ha rivoluzionato alla radice l'idea di insegnamento della matematica ai ragazzi.
Ho avuto la grande fortuna di essere stato suo allievo alle medie e ancor oggi, quando guardo i raggi del sole entrare da una finestra e proiettarsi a terra, non riesco a non pensare che quei parallelogrammi di luce in continuo movimento raccontano le proprietà delle affinità. Sì, perché Emma della geometria, prima ancora di studiarla, ci faceva vedere e toccare con le mani le trasformazioni delle figure. Articolando tra le dita uno spago, ad esempio, ci domandava se i diversi rettangoli di uguale perimetro, che venivamo creando, avessero anche la stessa area. Ed è così che arrivavano tra noi due concetti chiave del suo insegnamento: il caso limite e il ragionare per assurdo. Se infatti allungo la base accorciando i lati dell'altezza fino ad arrivare a zero, avrò un rettangolo di area zero. Ed è proprio questo "non rettangolo", a cui sono arrivato, che mi aiuta a capire le trasformazioni delle aree nei rettangoli isoperimetrici.

Ragionare per assurdo porta dunque a risultati concreti. Del resto, non è ragionando per assurdo che Gandhi immaginò di sconfiggere l'impero britannico con la non violenza e Mandela di costruire una nazione facendo pace con i suoi ex aguzzini? La matematica è molto più vicina a noi di quanto si creda, anche come possibilità di concepire una logica capace di immaginare ciò che non è ancora visibile. Sempre, però, partendo dalla realtà con cui la matematica si intreccia e da un uso accorto dei materiali.
«Le mani sono più democratiche», sostiene Emma Castelnuovo, perché manipolando stecchini ed elastici e muovendo figure sul piano e nello spazio tutti possono arrivare a capire anche gli argomenti più complessi. Bisogna tuttavia «dare ai ragazzi il tempo di perdere tempo», cioè la possibilità di soffermarsi sulle cose. «Nella scoperta matematica la fantasia si unisce alla logica» ed io vorrei «sollecitare il lettore a porsi domande, a cadere in errore e poi a rendersi conto dell'errore, a prendere insomma parte attiva alla lettura quasi fosse un ricercatore».

Così parlano i suoi libri, tra cui La matematica, testo per la secondaria di 1° grado in sei volumi, che resta di straordinaria attualità. Pur presente nel catalogo della Nuova Italia è quasi clandestino nella scuola di oggi, forse perché se ne ritiene "difficile" l'uso in classe e perché richiede agli insegnanti di mettersi in gioco, modificando radicalmente la didattica. Per questo Emma nel 2002, a 89 anni, ha fondato una sua Officina matematica, che riunisce ogni anno docenti di tutta Italia in settembre in Umbria, nella casa-laboratorio di Cenci, per sperimentare attivamente i suoi materiali e il suo metodo. Tutti sappiamo quanto la scuola abbia bisogno di grande respiro culturale e quanto poco si investa, al contrario, nella formazione dei docenti. Di fronte ai risultati deludenti riguardo alla qualità dell'apprendimento della matematica nelle nostre scuole, tornare a leggere i libri di Emma Castelnuovo potrebbe aiutare i ragazzi a ritrovare quei collegamenti con la natura, l'arte, l'architettura e la bellezza, che tanto potrebbero contribuire ad appassionarli alla matematica, una disciplina che spesso nella scuola, purtroppo, si insegna in modo freddo, tenendola lontana dalla realtà.

Qualche anno fa chiesi ad Emma quale era l'argomento che più le piaceva presentare ai ragazzi, spesso accusati di superficialità. Mi rispose: «l'infinito e l'infinitesimo». Non sarà che siamo noi insegnanti ad avere paura di offrire ai ragazzi argomenti grandi e pieni di senso, con cui ingaggiare un corpo a corpo salutare?
Emma Castelnuovo si è sempre tenuta lontano dalle accademie, non smettendo mai di ricercare ed inventare con i ragazzi. Negli anni Settanta ha realizzato esposizioni matematiche in cui i suoi allievi insegnavano agli adulti argomenti e scoperte che avevano incontrato, attraverso cartelloni e costruzioni. L'efficacia di questo percorso, che ha portato le sue classi ad esporre i loro lavori in diversi Paesi d'Europa, si è rivelata nei suoi aspetti più rivoluzionari quando Emma Castelnuovo, una volta andata in pensione, è stata chiamata a formare dei docenti in Niger. Ribaltando le consuetudini della cooperazione, invece di lavorare con docenti e dirigenti, Emma chiese di poter operare direttamente in classe. In poche settimane di intensissimo lavoro organizzò un'esposizione in cui i ragazzi africani erano protagonisti. La sua battaglia contro una matematica «presentata in modo così astratto da schiacciare le intelligenze» aveva portato quei ragazzi ad insegnare ai loro docenti un modo di imparare che nasce dalla fiducia nella propria intelligenza, di cui tutti hanno diritto.

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