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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2013 alle ore 14:11.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2013 alle ore 15:40.

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Nella foto Cate Blanchett nel film «Blue Jasmine» di Woody AllenNella foto Cate Blanchett nel film «Blue Jasmine» di Woody Allen

Il grande ritorno di Woody Allen: dopo diversi passi falsi, da «Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni» a «To Rome With Love», il regista newyorkese ritrova la forma migliore con «Blue Jasmine», il film più importante in uscita questo weekend.
In seconda fila, convincenti pur con meno entusiasmo, si schierano «Dietro i candelabri» di Steven Soderbergh e «Stop the Pounding Heart» di Roberto Minervini; mentre il titolo di pecora nera della settimana va a «Oldboy» di Spike Lee.

Dopo un tour europeo che ha toccato città come Londra, Roma, Barcellona e Parigi, Woody Allen torna negli Stati Uniti e realizza il suo miglior film dai tempi di «Match Point» (2005).
Protagonista è Jasmine (Cate Blanchett), una donna elegante e amante della vita mondana newyorkese, che, in seguito a una crisi di nervi, decide di trasferirsi a San Francisco nel modesto appartamento della sorella Ginger (Sally Hawkins). Cercherà di dare un nuovo senso alla propria esistenza dopo aver scoperto che suo marito Hal (Alec Baldwin), un ricco uomo d'affari ora in prigione per truffa, la tradiva con diverse altre donne.
L'ultima pellicola di Woody Allen è una profonda riflessione sull'America di oggi, sulla crisi economica e sullo scontro tra due opposte mentalità che, simbolicamente, si riflettono nelle città di New York e di San Francisco.
Se la regia appare più raffinata rispetto agli ultimi lavori dell'autore, ancor più rilevante è la sceneggiatura, ricca allo stesso tempo di sarcasmo e grande spessore psicologico, perfettamente equilibrata tra il presente e il passato del personaggio di Jasmine.
Una menzione a parte per la straordinaria performance di Cate Blanchett, solida e credibile dal primo all'ultimo minuto, che si meriterebbe una nomination ai prossimi premi Oscar.

Altro film particolarmente atteso è «Dietro i candelabri», diretto da Steven Soderbergh e incentrato sulla vita di Liberace, celebre pianista statunitense nato a Milwaukee nel 1919 e morto a Palm Springs nel 1987. Prodotta dalla televisiva Hbo, la pellicola ruota attorno alla relazione sentimentale, nata nella seconda metà degli anni '70, tra l'artista e Scott Thornson, un aspirante veterinario molto più giovane di lui.
Seppur sia ispirato alle memorie dell'artista, «Dietro i candelabri», più che un semplice biopic, è una rappresentazione dello stile di vita di Liberace, della sua passione per il kitsch e del passaggio dalla grande popolarità al declino artistico, simboleggiato dalla minaccia dell'Aids.
Attraverso uno stile rigoroso, Soderbergh costruisce una pellicola riuscita ed efficace che manca però di quei guizzi che l'avrebbero resa ancor più emozionante.
Ottimi i due protagonisti, Michael Douglas e Matt Damon, intensi come non si vedevano da diverso tempo.

Dopo la presentazione al Torino Film Festival, arriva nelle sale «Stop the Pounding Heart», ultimo capitolo della trilogia texana di Roberto Minervini, iniziata con «The Passage» e proseguita con «Low Tide». L'autore marchigiano, ormai da diversi anni trapiantato negli Stati Uniti, racconta la vita di una famiglia di allevatori di pecore, ponendo particolare attenzione su Sara, ragazza cresciuta seguendo i precetti della Bibbia e il rigido insegnamento dei genitori.
Minervini si conferma regista di talento, grazie a una messinscena documentaristica che trasmette tutta la veridicità della vicenda mostrata. Mentre la conclusione è incisiva e toccante, rimane il rimpianto per una prima parte che fatica troppo a carburare, girando a vuoto come la maggior parte dei personaggi in scena.

Infine, una segnalazione negativa per «Oldboy» di Spike Lee, remake dell'omonimo cult movie del 2003 diretto dal sudcoreano Park Chan-wook.
Josh Brolin veste i panni di Joe Ducett, un uomo che viene improvvisamente rapito e tenuto prigioniero in isolamento per vent'anni. Una volta libero avrà un solo pensiero in testa: la vendetta.
Lee cerca in tutti i modi di dare un senso all'operazione percorrendo strade diverse rispetto al film originale, ma finisce presto per incartarsi anche a causa di una sceneggiatura altalenante. Gli unici momenti davvero riusciti sono l'incipit e la conclusione, in mezzo troppi i passaggi narrativi frettolosi e le scelte stilistiche azzardate.
Brolin non demerita seppur non riesca a reggere il confronto con il protagonista della pellicola sudcoreana, Choi Min-sik.

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