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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2013 alle ore 15:55.

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Il passato sfolgorante del Teatro Massimo Bellini di Catania è ormai un rarefatto ricordo, quel che rimane è un presente incerto e nefasto senza programmazione e stipendi, pervaso da un dolore tangibile, che esplode nella protesta dei lavoratori alla prima di "Lucia di Lammermoor" spettacolo che chiude la travagliata stagione. L'atmosfera è surreale, dai palchi sventolano gli striscioni del dissenso " Chiuso dai politici, aperto al pubblico" è lo slogan della ribellione, mentre sfila, lungo il corridoio centrale, un mesto corteo funebre, cappucci neri, biacca e occhi bistrati, i dipendenti e le maestranze del teatro conducono una bara ai piedi del palcoscenico, sulle note dal vivo della "Marcia funebre" di Chopin.

Con mezz'ora di ritardo il sipario si apre su una suggestiva proiezione della boscaglia intorno al Castello di Ravenswood, di amore e morte parlerà quel palcoscenico, che sembra scelto ad hoc per rappresentare, attraverso la vicenda dell'infelice sposa di Lammermoor, la parabola tragica del Bellini. L'indovinato e forte imprinting registico di Guglielmo Ferro, lontano dagli stereotipi, emerge continuamente per tutta la rappresentazione, in una lettura ossianica e new gothic, piena di citazioni e rimandi da Dracula a Twilight , in una resa onirica gelidamente spettrale che nel notturno, nell'inesplicabile, nella follia, scoperchia gli anfratti dell'anima livida dei protagonisti.

Nelle belle scene, desolatamente pregnanti e selvagge di Stefano Pace, che marcano quel territorio di tormenti e angosce, diventano quasi affreschi i video di Massimiliano Pace, si dissolvono e ricompongono su un telo incombente: cieli cromatici da chiarori romantici a cupezze sanguinolente, ambre dai giochi prismatici, grate costrittive, in perfetta sintonia con la disperata fame d'amore di Lucia e l'immortale musica di Donizetti. La compatta compagine orchestrale è diretta con mano sicura, pur se a tratti pesante, in una lettura poco donizettiana e protoromantica, incalzata dalle sonorità esasperate della bacchetta di Emanuel Plasson.

Lucia ben tratteggiata drammaturgicamente, corpo e voce di Rosanna Savoia, a parte qualche alternanza di toni, si distingue per la lucentezza di acuti nella famosa scena della pazzia, il baritono Piero Terranova è un possente Lord Enrico ma vocalmente opaco, il tenore Alessandro Liberatore nel ruolo di Sir Edgardo alla fine del primo atto, dopo un malore, prosegue in falsetto, per il resto i vari ruoli comprimari sono correttamente eseguiti senza particolare eccellenza. Ineccepibile e di grande impatto vocale e scenico il coro.

" Lucia di Lammermoor" di Gaetano Donizetti- Libretto di Salvatore Cammarano-Direttore d'orchestra Emanuel Plasson- Regia Guglielmo Ferro- Scene Stefano Pace- Costumi Francoise Raybaud- Contributi video Massimiliano Pace- Luci Bruno Ciulli- Maestro del coro Tiziana Carlini. Orchestra, coro e tecnici E.A.R Teatro Massimo Bellini- Foto di scena di Giacomo Orlando. Cantanti: Piero Terranova, Rosanna Savoia, Alessandro Liberatore, Giuseppe Costanzo, Francesco Palmieri, Loredana Rita Megna, Salvatore D'Agata. In replica fino all'11 dicembre- Teatro Massimo Bellini- Catania

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