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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2013 alle ore 16:11.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2013 alle ore 16:21.

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Quattro brevi quadri. Ciascuno un mondo a parte. Quattro storie che appartengono alla cronaca nera quotidiana. E all'immaginazione. Messi insieme, uno dopo l'altro, formano un'immagine unitaria, grottesca, della nostra società contemporanea. Malata e stolta. Dove i personaggi fotografati scontano colpe di ipocrisia, menzogna, opportunismo. Soprattutto di egoismo.

Sono carnefici e vittime allo stesso tempo. Si infliggono tormenti e pene l'un l'altro; vittime, quali sono, del vivere secondo modelli che hanno sradicato l'anima e il cuore e fatto prevalere la superficialità dei desideri, la frenesia dell'avere, la passione dell'istinto, la normalità della perversione. Vittime emblematiche della solitudine, dell'aggressività latente, dell'incapacità di sapere ascoltare, dell'insostenibilità della sofferenza propria e altrui. Materiale magmatico, quindi, incandescente, aspro, che, trasportato sulla scena, potrebbe risultare eccessivo e incontrollabile, retorico e cupo. E invece Riccardo Spagnulo e Licia Lanera, la compagnia barese Fibre Parallele, ne hanno fatto un testo esemplare per lucidità d'indagine, originalità di scrittura, affondo tagliente e ironico, e acuta resa scenica. Prendendo spunto dal saggio "Sorvegliare e punire" di Michel Foucalt, "Lo splendore dei supplizi" (spettacolo candidato al Premio Ubu come migliore novità o ricerca drammaturgica, e Spagnulo come migliore attore under 30) rivela una maturità espressiva a tutto tondo della giovane coppia di autori e attori: sul piano drammaturgico, formale, interpretativo, per proprietà di mezzi e linguaggi come raramente si constata in altre giovani, spesso velleitarie, compagnie italiane. Basti vedere Spagnulo nel secondo quadro, "Il giocatore", dare voce, in dialetto stretto barese, alla schizofrenia del ragazzo che parla con un pupazzo che lui stesso muove, mutando velocemente voce ed espressione, movimenti e battute. È un figlio che ha ucciso la madre e conservata nel frigo, per dilapidarne i soldi della pensione, schiavo com'è del gioco del videopoker. Quando, con una maschera orripilante, lei riappare nel suo incubo a rivendicare la promessa di una sepoltura con funerale, in preda al delirio e spogliato di tutto per pignoramento il ragazzo piangerà rannicchiandosi a terra in posizione fetale.

La dimensione surreale caratterizza anche gli altri episodi. Il primo, "La coppia", vede i due protagonisti seduti su un divano e in mezzo un gatto, elemento inquietante che diventa l'interlocutore muto – sostituto dello psicanalista – della giovane coppia in crisi, impegnata a rinfacciarsi con tranquillità di esposizione problemi veri o presunti, desideri repressi e ripicche, facendo finta di essere felici. Quando il tono si farà sempre più concitato e rabbioso, alzandosi scopriremo essere legati ciascuno a una lunga catena, condannati ad un menage che li trasformerà in animali. E come cani famelici si avventeranno a terra a mangiare una torta nuziale. Il testo è brillante, infarcito di frasi ed espressioni che strappano la risata, ma ci freddano per quanto attinente alla realtà sia quella visione della coppia. Come lo è anche, traslando anche qui la realtà per arrivare a rappresentare l'essenza di una condizione forzata, il rapporto tra un anziano malato e la sua badante nel secondo episodio "La badante". Sul ritornello della canzone di Toto Cotugno che inneggia all' "italiano vero", e sulla voce fuori campo dell'anziano che parafrasa alcuni passi del "Mein Kampf", Lanera e Spagnulo, invertendosi i ruoli e giocando con un mimetismo di straordinaria naturalezza, sono, lui la donna rumena servizievole e paziente quanto tirannica; lei il vecchio deambulante e razzista che tra sputi e offese provocherà un ribaltamento del rapporto tra vittima e carnefice. Il quarto quadro, "Il vegano", finisce con un orribile sacrificio: due balordi che festeggiano la morte di un loro vicino di casa sequestrato e tenuto legato ad una sedia, sul quale lanciano cibo vero fino a ucciderlo, trovando in questa violenza una liberazione dalle loro frustrazioni di disoccupati. A vigilare su tutte queste storie surreali - che prima divertono e fanno ridere, poi paralizzano -, c'è l'inquietante presenza di un boia incappucciato (Mino Decataldo) seduto in un lato del proscenio che sorveglia tutte le azioni e, a momenti, le dirige. Se in "Furia de sanghe" una famiglia proletaria barese arrivava a brutalizzarsi al suo interno; e in "Duramadre", oltre alla dimensione matriarcale emergeva un ragionamento, anche politico, sul potere; in "Lo splendore dei supplizi" i due autori, rivelando la capacità di cogliere umori e smarrimenti del nostro tempo e saperli raccontare, ci mostrano una società che cade a pezzi, e senza speranza. Lo spettacolo, presentato dal Teatro Pubblico Pugliese, è inserito nella rassegna "Teatri del tempo presente" che vede interessate nove regioni nel progetto nazionale rivolto a tracciare il fil rouge delle compagnie italiane under 35 di teatro e danza e farli circuitare nei teatri coinvolti. Un progetto per rilanciare il teatro a partire dalle giovani generazioni.

"Lo splendore dei supplizi", di e con Licia Lanera e Riccardo Spagnulo, e con Mino Decataldo. Al Teatro Comunale Lucio Dalla di Manfredonia (FG), al Teatro Bertold Brecht di Perugia, al Teatro Rasi di Ravenna.

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