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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2013 alle ore 09:23.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2013 alle ore 09:34.

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C'è un piccolo mondo (antico) là sotto, ma non è che quello in superficie sembri preoccuparsene più di tanto. Ed è un vero peccato. Baia, provincia di Napoli. La scena si sviluppa nello specchio d'acqua dove una ventina di secoli fa ancoravano le quadriremi romane. Succede tutto agli inizi di ottobre di quest'anno. Un maresciallo della guardia costiera è da qualche tempo sulle tracce di un pescatore di frodo assai furbo che sta dissossando gli scogli a caccia di molluschi protetti.

È mattina presto. Lo intravede tra le onde e si mette a inseguirlo. Con lo "specchio", l'occhio sottomarino della motovedetta, si accorge che il sub sta iniziando a scavare sul fondo. Inforca al volo maschera e pinne e si butta in acqua per raggiungerlo. Non fa in tempo però perché quello lascia sul posto, tra le rocce e le alghe, il retino con col pescato (vietato) del giorno, dileguandosi tra i flutti. Continuando a scendere, il sottufficiale della capitaneria di porto s'imbatte, in qualcosa di assolutamente imprevisto e spettacolare: i resti di una villa di età imperiale con mosaici e statue ancora in ottimo stato di conservazione (vedi il video inedito del momento del ritrovamento).

Una scoperta che potrebbe offrire nuovi spunti di studio, di approfondimento, di rivisitazione della storia su questo meridiano campano soprattutto ora che l'attenzione di tutto il mondo è rivolta a Pompei, il sito patrimonio mondiale dell'Umanità che le pioggie rischiano di far sbriciolare e la burocrazia di mandare a picco. E che, soprattutto, potrebbe arricchire l'offerta turistico-archeologica della zona. I condizionali, in questo caso, sono però davvero d'obbligo perché ancora oggi, a distanza di quasi due mesi dal ritrovamento, i competenti uffici della Soprintendenza ancora non hanno attivato alcuna procedura per la mappatura del nuovo sito, che pure si trova in un parco archeologico che, a detta degli esperti, non avrebbe dovuto riservare altre scoperte, né per mettere in sicurezza l'area. Dove i ladroni del mare hanno fatto razzie, negli anni scorsi, saccheggiando i fondali e arricchendosi a dismisura nel contrabbando coi mercanti russi e dell'est Europa. Dall'epoca di Nerone, tra Baia e Bacoli, una località poco distante, il livello delle acque si è alzato di almeno una decina di metri sommergendo le ville dei patrizi che, sul litorale flegreo, venivano a riposarsi durante le miti primavere. Alcune di queste strutture erano già note, a Baia, ma è chiaro che c'è una storia ancora tutta da riscrivere a poche decine di metri dalla costa se verrà confermata, come pare, la presenza di altre abitazioni di ricchi concittadini di Nerone. La guardia costiera fa quel che può per pattugliare la zona, ora che in paese la notizia del ritrovamento si è sparsa, ma è chiaro che senza l'input della Soprintendenza nessuno può nemmeno fare una foto.

Il mosaico ritrovato dal comandante della motovedetta Cp711 Gaetano Tavassi, secondo una prima provvisoria ipotesi di lavoro, dovrebbe far parte infatti di un più esteso «centro residenziale» di epoca romana rimasto protetto agli occhi di subacquei e tomb raider da una spessa coltre di sabbia e rocce che, presumibilmente, le correnti marine hanno col tempo rimosso. Finora, la Soprintendenza ha recuperato una statua di donna – è in corso l'identificazione perché ha il viso sfigurato – ma nulla ha fatto per studiare le pavimentazioni, a cominciare dalla datazione, e per avviare le operazioni di scavo necessarie a portare alla luce le altre domus che presumibilmente restano ancora nascoste alla vista. A poca distanza dal mosaico principale, sono state rinvenute centinaia e centinaia di tessere policromatiche che potrebbero far pensare alla presenza di una bottega artigiana, nei paraggi, di mosaicisti romani. Insomma, uno spaccato di vita millenaria che attende soltanto di poter vedere la luce, fondi e camorra permettendo.

L'archeomafia in Campania è tutt'altro che sepolta, infatti. I pm della Procura partenopea, qua e là, incrociano indizi di un enorme mercato illecito che riguarda l'intera provincia di Napoli, particolarmente radicato proprio agli estremi: nell'area nord, dove ci sono gli insediamenti romani di Pozzuoli, Bacoli e Baia, appunto; e in quella sud, da Pompei fino a Castellammare di Stabia.

Nelle ville di Varano, la collina che sovrasta quest'ultima città, è andato in scena un sacco tra i più orridi della storia dell'arte. È un boss a dirlo, non sapendo di essere intercettato. Si chiama Salvatore Belviso ed è stato il capo del clan D'Alessandro prima di finire in galera per l'omicidio del consigliere comunale piddino Gino Tommasino.

«A me la buonanima di mio zio Antonio… quello che hanno ucciso… - dice il padrino, oggi passato a collaborare con la giustizia riferendosi agli scavi che potrebbero presto entrare a far parte del Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco – aveva una cassetta così, vedi… piena di pietre antiche e oro… dei tempi dei Romani… laccettini, dobloni… a livello che ogni moneta di quella valeva dieci o quindicimila euro… ventimila euro… Io so che cinquanta monete da dentro alla scavo di Varano… le ha regalate… l'ho visto io… Giulio Cesare… cinquanta… quarantotto o quarantatre… non si sono trovate più Freddy… Ma tu hai capito più di settanta o ottanta chili di oro?».

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