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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2013 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 23 dicembre 2013 alle ore 08:43.

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Onorevoli membri della Corte,
mi rivolgo al Ministero di Giustizia Poetica per attirare la vostra attenzione sui comportamenti del sig. Franzen Jonathan ai danni del mio cliente, sig. Kraus Karl.
Al cuore della faccenda c'è un nuovo libro, The Kraus Project (Farrar, Straus and Giroux 2013), del quale il sig. Franzen sostiene essere l'autore. Il libro è in realtà una raccolta di scritti del mio assistito; tradotti da Franzen, è vero, ma di solito questo frutta al massimo una menzione sul frontespizio.

Forse il sig. Franzen ha sentito che la mole delle note a piè di pagina che ha scritto giustificava la sua paternità: ci sono spesso varie pagine di annotazioni per poche righe di testo originale. Parlano di Kraus, sì, ma anche di Bob Dylan e degli amorazzi adolescenziali di Franzen stesso. Ma su questa appropriazione il mio assistito è disposto a sorvolare. Lo scopo professato del libro è di «rendergli omaggio», facendolo rifulgere di un po' del bagliore del grande astro del great American novelist. A questo fine potremmo considerare questa operazione uno specchio: un modo di riflettere la luce, se non di prendere allodole. Potrà forse venirvi il sospetto che il mio sia il tipico atteggiamento dell'europeo che non sopporta che un americano gli porti via un prezioso monumento, e grida: «Per l'amor del cielo, lui era nostro!».

Quando si sposta un monumento anche i millepiedi che vengono alla luce pensano qualcosa del genere. Ma lui non era «nostro». Non ce la stiamo prendendo a male perché uno nato in Illinois, che vaga per Berlino come se fosse Marte, racconta i suoi problemi con l'ex moglie nelle note a un testo su Heine o sul teatro viennese. Quelle note sono gradevoli e ben scritte, e non ci sarebbe stato bisogno di stamparle in grassetto sperando che il lettore non cadesse nella tentazione di leggere il testo krausiano incastrato sopra. No, il problema sta più a fondo dei millepiedi. Il sig. Franzen sostiene che quelle note – che interrompono la lettura del testo con la frequenza con cui gli odiati messaggi di Facebook distraggono una sedicenne dalle versioni di latino – siano il prezzo da pagare per riscoprire l'attualità di Karl Kraus. È vero. Ma in che cosa consiste questa attualità? Nel fatto che Franzen sostenga di averci permesso di riscoprire l'attualità di Karl Kraus, aggiornandone gli strali contro la stampa in un astioso assalto ai social network. Ovvero, nel fatto che uno scrittore dei nostri giorni non accetti che la critica che il mio cliente opponeva all'ipocrisia dei giornali o alla morale bigotta della Vienna fin de siècle risulti oggi talmente attuale da essere diventata senso comune.

La cosa crea disappunto a me per primo; ma non possiamo non ammettere che l'oracolo-Kraus, se lo si prende alla lettera, incarna oggi delle verità quasi banali. D'altra parte è proprio la trasformazione di questa satira da rivoluzionaria in reazionaria, da voce nel deserto in vox populi, ad essere la prova più evidente della sua capacità di prevedere gli sviluppi della storia. Ma il mondo non si accorge di tutto questo, perché non è cambiato: e così, attraverso Franzen, il mondo che non è riuscito a cambiare se stesso ha trasformato la satira in common sense. Ma non sarebbe stato meglio, invece che dichiararla lettera morta per poi esporla al pubblico come cadavere, lasciarla vivere? Qui per dare fama a Kraus lo si banalizza così tanto, da renderlo migliore della sua fama: nel libro del sig. Franzen le parole del mio cliente diventano espressione di una teoria sul mondo, talmente banale da risultare efficace sia contro i giornali viennesi quanto contro Twitter o la Apple. La teoria dice semplicemente: prima era meglio. Tutto improvvisamente appare leggibile, chiaro: gli scritti di Kraus sono per Franzen una torta da scagliare in faccia alla modernità, e tradurli significa aggiornarne la data di scadenza prima del lancio.

Ma in questa torta la panna conviveva pacificamente con la salsiccia, la cannella coi peperoni. L'opera del mio cliente è asistematica e volutamente contraddittoria almeno quanto la sua vita – e parliamo di uno che è nato ebreo ma ha abbandonato la comunità ebraica, si è fatto battezzare ma ha ripudiato il cristianesimo; ha simpatizzato per la socialdemocrazia e in seguito per l'austrofascismo di Dollfuß; è stato amico e poi nemico di molte personalità centrali per la cultura del suo secolo; e più in generale ha smentito se stesso innumerevoli volte.

In tutto questo il sig. Franzen cosa fa? Accenna sì a quelle contraddizioni, ma di fatto le scioglie: semplifica i paradossi krausiani così da poterli usare come strumenti di una noiosa polemica, e se sottolinea in nota che Kraus assume posizioni oscure è solo per coprirsi le spalle mentre trasforma la satira in uno spiegone. È evidente che il progetto di Franzen è piuttosto un tentativo di eleggere un padre letterario. Ma il mio cliente avrebbe diseredato all'istante qualunque figlio insozzasse in modo tanto profondo il più importante tesoro di famiglia: la complessità. La scrittura del mio cliente non è complessa per «tenere fuori i non iniziati», come sostiene Franzen (per poi procedere a sbatterli tutti dentro dalla porta della servitù).

È complessa perché così è il mondo: e renderne le contraddizioni è l'unica maniera per evitare la mistificazione populista. Questo è ciò contro cui il mio cliente si batteva, attaccando lo stile leggibile, slavato e consolatorio di Heine e dei feuilleton: si batteva contro il mainstream. A questo punto appare qualcosa di più problematico nel progetto del sig. Franzen, che sulla quarta di copertina è acclamato come «un genio della letteratura contemporanea». La stessa espressione, ai tempi di Kraus, era riservata a Heine. La sua scrittura era altrettanto tersa, agile nel giudizio morale, pronta a generare imitatori. Eppure, per spiegarne il ruolo, il sig. Franzen non è riuscito a fare di meglio che paragonarlo a Bob Dylan. Mettendo il proprio nome sulla copertina, Franzen ha cercato di schierarsi dalla parte di Kraus nella battaglia fra nicchia e mainstream, fra "alto" e "pop". E questo è un tradimento doppio: perché quella battaglia aveva senso un secolo fa molto più di ora, e perché quella battaglia il sig. Franzen l'ha già vinta – ma con l'altro schieramento.

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