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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2014 alle ore 17:18.

S'inizia con una scena di nudo (funzionale e non gratuita). Sul fondo, disposti frontalmente, tre uomini e tre donne iniziano a spogliarsi. Avanzano, s'inchinano, ci sorridono. Poi indietreggiano, si raggruppano, e, dandosi la mano, articolando i corpi, iniziano a ideare una serie di raffigurazioni plastiche: la Nike senza braccia, una pittorica Deposizione, una Pietà, un gruppo scultoreo di Canova, una dantesca immagine di Gustavo Doré. E altro ancora, fino ad arrivare ad una composizione con dei pugnali in mano e del sangue che scorre dal corpo di uno dei performer. Scena che interrompe bruscamente quell'Eden ideale in cui i danzatori hanno composto - al soffio di un vento incessante che dissolve le forme - degli originali tableaux vivant riconducibili all'arte classica e al patrimonio artistico. Questa sorta di omaggio alla bellezza del nostro Paese, nel secondo quadro si tramuterà in un dissacrante cabaret sull'Italia contemporanea dell'immaginario stereotipato, dei clichè dell'estetica nazional-popolare e cafona. Il terzo quadro, infine, tutto danzato, mette in scena un incontro surreale fra tre officianti e tre clown. Il titolo che riunisce questo anticonvenzionale trittico è "To this purpose only" della compagnia milanese Fattoria Vittadini e firmato dal duo berlinese Matanicola, ovvero Nicola Mascia e Matan Zamir.
Torinese il primo, con esperienza nella Sasha Waltz & Guest; israeliano il secondo, proveniente dalla Batsheva Dance Company. La loro distaccata visione, da "stranieri", ha permesso di creare, più che un affresco sull'Italia odierna disastrata culturalmente, una riflessione sul suo passato e sull'eredità culturale. Se il primo quadro, più poetico, ha, pur nella sua astrattezza, un'armonia compositiva di stampo classico, il secondo, sulla musica di Amarcord di Fellini, ha un'impronta smaccatamente esibizionistica con una teatralità alla Bausch e richiami pop a Ricci/Forte. I segni dell'italianità sono negli oggetti pubblicitari, nell'uso della pasta, mangiata cruda, vomitata, calpestata coi tacchi; nella bottiglia di champagne spruzzata addosso; nei rintocchi di campane, nei rumori del traffico, e negli annunci dei ritardi ferroviari in sottofondo; nei vestiti seducenti e nelle parrucche appariscenti; nel linguaggio dei gesti, volgari e quotidiani, riprodotti in una divertente pantomima al ralenti con il gruppo che s'ammassa e poi si calpesta per arrivare a conquistare una tazzina di caffè preparato in scena e il cui aroma si diffonde in sala insieme al suo fragore amplificato da un microfono. Ma la sequenza più ingegnosa è il lento comporsi di una madonna "griffata", in un rituale di vestizione tra formaggio grattugiato, bandiera italiana e manifesti politici sullo sfondo, la canzone di Mina Non credere, una confezione di pasta Barilla tenuta in mano. E intanto, come offerte votive, una moltitudine di sacchetti con le griffe della moda – dai quali saranno poi estratti barattoli di Nutella e altri marche di consumo - vengono deposti sulle braccia della statua vivente, poi innalzata e portata in processione mentre cala dall'alto un'insegna al neon con scritto Cafè.
Il forte segno coreografico dello spettacolo subentra nella danza del terzo quadro, dove la visione di una religiosità solamente cupa emerge tra nebbie, penombre e incenso, nei tre officianti dalle lunghe tuniche, oranti, intenti a battersi il petto, a vibrare con movimenti convulsi, a strisciare terra come nelle processioni popolari, sempre con larghe movenze di braccia e di gambe. Queste saranno costrette ad essere tenute alzate a testa in giù quando compariranno tre inquietanti clown – diavoli tentatori - con torce elettriche e travestimenti, che si aggireranno in un'atmosfera alla David Lynch scombinando i personaggi e la trama coreografica. Che si chiude con un sensuale duetto. Sfumanti l'uno nell'altro i tre quadri necessiterebbero, forse, di essere presentati e specificati al pubblico come un trittico, quale è nelle intenzioni degli autori, con uno stacco tra l'uno e l'altro, per un più chiaro approccio. Che però arriva lo stesso a intrigarci per bellezza e potenza espressiva.
Al Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche (Mc), per Civitanova Danza e Marche Festival, nell'ambito di Teatri del Tempo Presente. "To this purpose only": idea/ regia/ coreografia/ allestimento scenico/ costumi/ disegno luci/ colonna sonora Nicola Mascia, Matan Zamir; creazione/ performance Mattia Agatiello, Chiara Ameglio, Cesare Benedetti, Noemi Bresciani, Pieradolfo Ciulli, Maura Di Vietri; disegno luci Nicola Mascia, Matan Zamir, Giulia Pastore; musica Nino Rota, Mina e altri. Production/ Fattoria Vittadini (IT) e matanicola (DE) con il sostegno di Next e il contributo di Goethe Institut Mailand, con il patrocinio Comune di Milano.
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