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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2014 alle ore 06:58.

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Il logo delle celebrazioni sui 60 anni di rock and rollIl logo delle celebrazioni sui 60 anni di rock and roll

C'è poco da fare: gli anniversari delle rivoluzioni vanno celebrati con tutti i crismi. Lo sanno bene negli Usa, dove sono appena partiti i festeggiamenti in onore della seconda grande rivoluzione che la storia nazionale ricordi: l'esplosione del rock ‘n' roll, risalente alla bellezza di sessant'anni fa.

Una rivoluzione - musicale, culturale e di costume - che dagli States si è espansa all'intero Occidente civilizzato, trovando sponde in particolare in Gran Bretagna, dove il rock, nel corso di questi sessant'anni, è più volte «rinato», alla faccia di chi a giorni alterni lo dava per spacciato. Il big bang viene fissato per convenzione il 5 luglio del 1954, giorno in cui un 19enne Elvis Presley varca la soglia degli studi della Sun Records di Memphis, in compagnia del chitarrista Scotty Moore e del contrabbassista Bill Black, e incide «That's all right», cover del bluesman Arthur Crudup che rappresenterà il primo singolo della sua carriera. Il disco sarebbe andato in radio tre giorni più tardi. Tuttavia le celebrazioni partono oggi perché si dà il caso che l'8 gennaio sia la data del genetliaco del Re, il giorno in cui the Pelvis, fosse stato ancora vivo, avrebbe compiuto la bellezza di 79 anni.

Da Graceland alla Hall of Fame
Da oggi fino a sabato prossimo intorno a Graceland, magione sontuosa quanto kitsch dell'ultimo Presley, avranno luogo incontri di approfondimento, concerti e rievocazioni storiche nel segno dell'uomo che sessant'anni fa, chissà quanto consapevolmente, diede inizio alla rivoluzione. A marzo, sempre a Graceland, una mostra sulle origini del genere musicale e l'influenza esercitata da Elvis sull'immaginario collettivo contemporaneo. Sul tema dell'anniversario si concentrerà anche la rituale cerimonia di introduzione nella Rock and Roll Hall of Fame, quest'anno fissata per il 10 aprile al Barclays Center di New York. Ma il grosso delle celebrazioni si svilupperà tra l'8 luglio, ricorrenza dell'uscita di «That's all right», e la tradizionale «Elvis Week» che cade la seconda settimana di agosto, a commemorazione della morte del Re.

Fenomenologia di una rivoluzione
Su cosa sia esattamente accaduto sessant'anni fa si è detto tutto e il contrario di tutto. A partire dal fatto che Elvis e compagnia cantante musicalmente parlando non abbiano inventato un bel niente. Perché i giri armonici del nuovo genere, al fin della fiera, erano gli stessi del blues, gli arrangiamenti spesso e volentieri quelli del country, il tutto reso un po' più veloce, orecchiabile e sexy. Ma si sa che, nell'arte come nella vita, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. E con sfacciata sapienza i vari Bill Haley e Jerry Lee Lewis presero la musica dei neri (il blues), la vestirono coi panni di quella dei bianchi (il country) e la trasformarono in un linguaggio capace di parlare ai giovani di tutto il mondo. Nuova fu indiscutibilmente l'«attitudine» con cui gli alfieri del genere si proposero su e giù dal palco: potevano essere ironici come Chuck Berry, scatenati come Little Richard, vagamente intellettuali come Buddy Holly, piacioni come Fats Domino, candidi come gli Everly Brothers o addirittura farabutti come Gene Vincent. Roba mai vista prima.

E la musica «inventò» i giovani
Fu grazie a questi anti-eroi della cultura popolare che i giovani – fino a quel momento adulti in sedicesimi - per la prima volta «esistevano», con la loro nuova etica, i loro nuovi vestiti, i loro nuovi tagli di capelli. Mica per caso benpensanti e ultra-conservatori a partire dagli anni Cinquanta si dedicheranno a campagne di moralizzazione e roghi pubblici di dischi. Arruolando pure numi tutelari del Great American Songbook come Frank Sinatra che, profetizzando vita breve alla «nuova cosa» musicale, la etichettò come «la più brutale, brutta, disperata e viziosa forma d'espressione che ho avuto la sfortuna di ascoltare». Povero grande Frank, il mondo stava cambiando e lui neanche se ne accorgeva. Il mondo stava cambiando e il rock degli anni a venire (perdendo quel «roll» che lo relegava a musica da ballo) lo avrebbe cambiato ancora di più, tra Beatles, Stones, Dylan, Hendrix, le suggestioni sinfoniche del progressive, l'essenzialità del punk, gli artifici dell'elettronica, metalli più o meno pesanti e chissà quante altre diavolerie. Mettiamola così: su cosa sia il rock potremmo discutere per ore. Su cosa faccia il rock, non si può non sottoscrivere la celebre massima di Wim Wenders: «Il rock and roll mi ha salvato la vita. Perché è stato questo genere di musica che, per la prima volta in vita mia, mi ha dato il senso dell'identità, la sensazione che avevo il diritto di divertirmi, di immaginare e fare una determinata cosa. Non fosse stato per il rock and roll, adesso magari farei l'avvocato». E allora buon compleanno Elvis!

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