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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2014 alle ore 15:33.
L'ultima modifica è del 13 gennaio 2014 alle ore 15:38.

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A sdoganare dal clichè con cui solitamente si circoscrive il musical d'ispirazione religiosa - intendendo un genere relegato spesso in ambito "parrocchiale", termine sfavorevole e ghettizzante che definisce uno stile arrangiato e pietistico, e il confine ristretto della rappresentazione e della fruizione - c'è un concorso di elementi artistici e di senso che fanno de "L'Atteso" (musica e canzoni del compositore Daniele Ricci) un caso significativo nel panorama teatrale di questa forma di spettacolo che vuole coniugare il binomio fede e spettacolo.

C'è, innanzitutto, la qualità degli interpreti della Compagnia Padova Danza diretta da Gabriella Furlan Malvezzi, tutti giovani danzatori e cantanti dotati di tecnica rigorosa, preparazione artistica di livello e passione dilagante. Entusiasmo che ha contagiato Valerio Longo, danzatore dell'Aterballetto, e, da qualche anno anche coreografo di punta della celebre compagnia internazionale di Reggio Emilia, chiamato a curare la regia della messinscena, e, soprattutto, la coreografia, punto di forza dello spettacolo. Il linguaggio contemporaneo è la cifra creativa di Longo. E nello spettacolo quel vocabolario è ben evidente nei movimenti e nei gesti netti, vibranti, ricercati, che animano i corpi dei danzatori, per trasmettere, in chiave moderna, una dimensione del sacro. Qual è la storia de L'Atteso. Ovvero Gesù Cristo, e della Sacra Famiglia.

Il legame evidenziato da Ricci vuole essere quello tra una realtà d'amore di duemila anni fa incastonata nella "storia dell'umanità" nella prospettiva di storia della salvezza. Uno spettacolo ad alto voltaggio corale, interamente musicale, con tredici canzoni, un prologo di narrazione e musica e un brano solo strumentale, per ripercorrere, tra indagine storica e sensibilità attuale, gli eventi che conducono alla nascita di Gesù fino ai suoi primi anni di vita: il fidanzamento tra Giuseppe e Maria, l'annunciazione, l'incontro con Elisabetta, la nascita a Betlemme, la presentazione al tempio, l'arrivo dei re Magi. Per concludersi con un trascinante e ritmato vocalizzo di gioia al canto di Venite adoriamo, dopo aver ascoltato all'inizio due canzoni emblematiche: "Gaspar" in cui il re magio esprime la ricerca di Dio dell'uomo; e "L'atteso" che mette genialmente in versi rock la genealogia di Cristo.

Se i costumi e il look di oggi dei danzatori e dei cantanti determinano un'ambientazione calata nel quotidiano, evidenziando così le condizioni sostanziali della vita sentimentale di ciascuno, maggiormente rende il contesto di paesaggio metropolitano la bellissima scenografia ideata da Simone Ferrarini il quale, possedendo magistralmente la tecnica d'animazione del disegno a matita - che rimanda all'inconfondibile segno dell'artista sudafricano William Kentridge -, ci immerge in una città continuamente cangiante con squarci anche di segni simbolici di autentica poesia visiva. Ed entra in perfetta simbiosi con la coreografia di Longo che, dall'energia del gruppo, estrapola le singolarità indagando la caratteristica di alcuni personaggi con movimenti che ne disegnano, gestualmente ed espressivamente, l'identità.

Come quella di Giuseppe, di particolare rilievo, colto anche nel travaglio del dubbio, nello smarrimento e nel tentennamento alla notizia della maternità divina di Maria, ma abbandonatosi poi al volere di Dio perché innamorato della promessa sposa al punto di seguirla nella sua impensabile via, varcando così ogni limite dell'amore umano e della vita. Il coreografo, di entrambi, ne fa un doppio, quasi un'ombra di ciascuno, duplicandone la presenza anche negli identici abiti: a esprimere il mondo interiore ed esteriore. O forse l'angelo di ognuno, la voce del cuore e della coscienza. Il segno forte, però, della regia e della coreografia di Longo è nell'utilizzo delle mani, articolate in più direzioni nella danza – con quei profili delle dita, inarcate insieme alle braccia e alle gambe, verso l'alto -, che assurgono a simbolo, ma anche a propaggine concreta del plasmarsi della vita. Perché esse sono il mezzo attraverso cui comunichiamo con gli altri, il mezzo attraverso cui l'energia del corpo si irradia e ci fa percepire lo spazio e le persone. Grande successo al Filarmonico di Verona da dove ci si augura che "L'atteso" possa proseguire in molte città la sua onda lunga.

«L'ATTESO, Nativity Opera Angels», musiche e testi Daniele Ricci (Edizioni Paoline), con Chiara Luppi e Francesco Baggetta, scenografie Simone Ferrarini, light designer Davide Cavandoli, produzione fotografica Cristian Iotti, regia e coreografia Valerio Longo. Al teatro Filarmonico di Verona

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