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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2014 alle ore 11:43.

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Claudio Abbado rimane. È uno dei più grandi interpreti del nostro tempo. Non "è stato" un direttore d'orchestra di riferimento: lo è ancora. Resterà in tutti noi un musicista per sempre. Oggi lo piange il mondo. Oggi, 20 gennaio, quando a Bologna ha cessato di vivere. Era nato a Milano, il 26 giugno del 1933. L'estate scorsa, poco dopo aver raggiunto gli 80 anni, dopo aver diretto l'ultimo concerto al Festival di Lucerna, era stato nominato senatore a vita, dal Presidente Napolitano. Immediatamente il suo pensiero era andato ai giovani: l'emolumento previsto per la nuova carica si era subito trasformato in borse di studio per gli allievi più meritevoli della Scuola di musica di Fiesole, meravigliosa fucina di orchestrali e cameristi.

Sui giovani, Abbado aveva sempre puntato. Perché il suo modo di fare musica è sempre stato naturalmente giovane: dentro, Claudio, è sempre stato un ragazzo. Fresco, mai retorico, mai scontato, severo come possono esserlo solo i grandi idealisti. Votato a una disciplina musicale – di antica scuola italiana – che aveva come obiettivo una meta mai raggiunta per sempre. Non si è mai seduto sul trono dei re incoronati, Abbado: ogni sua lettura, ognuno dei suoi grandi autori, è stato studiato per tutta la vita, senza paura dei cambiamenti. A testimonianza, una per tutte, le sue integrali delle Sinfonie di Beethoven: partite da un modello di stampo tardo-romantico, poi via via asciugate, ricondotte a una classicità estremamente drammatica, nella registrazione coi Berliner Philharmoniker, e infine ancora ripensate, nelle ultime esecuzioni.

L'"Eroica" è stata la sua estrema partitura, lo scorso agosto, a Lucerna. L'"Eroica" era stata anche la pagina dalla quale aveva scelto di ricominciare, nel 2000, alla Philharmonie di Berlino, a pochi mesi dal tumore e dall'operazione che aveva profondamente segnato la sua vita. Una Sinfonia simbolica, scelta per la complessità della scrittura, la sublime astrazione, ma anche per quella carica umana, forte e di incrollabile fiducia. Il repertorio di Abbado, anche consegnato al disco, spazia dal Seicento di Monteverdi al presente di Kurtag. Maurizio Pollini il suo amico di una vita. Per il teatro d'opera rimangono fondamentali i suoi Verdi, in particolare il "Simon Boccanegra", l'opera riletta e riforgiata, per una vita, a partire dalla Scala. Ma anche il suo Mozart, con un "Don Giovanni", a Ferrara, indimenticabile. A Salisburgo, per il Festival di Pasqua, aveva portato un "Wozzeck" di Berg scolpito in ogni nota. Settecento, Ottocento, Novecento: il teatro di Abbado non aveva preclusioni, ma viveva di scelte mirate, elettive.

Anche sui registi, alcuni estremamente noti, come Strehler, altri nuovi, portati alla ribalta con fiducia. La stessa fiducia restava un pilastro della sua attenzione verso i giovani. Oggi tutti piangiamo Claudio. Ma i più vicini gli rimangono gli orchestrali della Mozart, la sua ultima creatura. A Bologna, con un profilo internazionale, che raccoglieva talenti di prima sfera, era il suo grande albero: piantato saldo, da lui che amava tanto le piante, la natura. Con radici che restano, profonde. Continueranno a camminare, per tante strade, ma per sempre.

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