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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2014 alle ore 10:51.

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Italo Calvino con la madre Eva Mameli (Olycom)Italo Calvino con la madre Eva Mameli (Olycom)

Italo Calvino è cresciuto in un mondo di linfa affine a quello in cui si aggirava Cosimo Piovasco Barone di Rondò. Villa Meridiana era immersa in un grande rigoglioso giardino, terreno di studio e sperimentazione dei genitori: Mario Calvino ed Eva Mameli, entrambi botanici, lei la prima donna in Italia a conseguire, nel 1915, la libera docenza. Vi crescevano alberi fuori dal comune, tra questi un immenso Schinus molle o falso pepe, che nel Barone rampante perde l'aura esotica per familiarizzarsi in un elce o, meno letterariamente, leccio.

Italo vi si arrampicava approfittando del portamento basso, dei lunghi rami contorti ma resistenti. I genitori avevano insistito perché seguisse le loro tracce. Lui si era iscritto, poco convinto, ad agraria, per restarvi assai poco, e finire col sentirsi la pecora nera in una famiglia di scienziati. L'eco del suo ronzare tra le piante permane tuttavia nei suoi scritti come un basso continuo. Né andò mai persa la conoscenza dei nomi, che il padre Mario pronunciava arrampicandosi per la strada di San Giovanni, memore forse di Isidoro che nelle Etimologie ammoniva: Se non conoscerai i nomi, perirà la cognizione delle cose. Nessun altro scrittore italiano è altrettanto preciso nelle descrizioni botaniche, nel dire di ogni scenario quale ne sia la flora specifica.

Adesso Fabio Di Carlo legge da architetto l'intera sua opera, fino agli splendidi diari dal Giappone, alla luce degli scenari, metropolitani o agresti oppure d'invenzione, cogliendovi questa singolarità: che in Calvino il desiderio di raccontare un paesaggio insorgeva per primo, solo dopo affiorava la vicenda umana con cui animarlo, farne materia di narrazione. Fu così nel romanzo d'esordio del 1947, Il sentiero dei nidi di ragno, di cui nella prefazione del 1964 Calvino diceva: «Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare occorreva che esso diventasse secondario rispetto a qualcos'altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone».

Meno accademici del tipo umano conosciuto in famiglia apparivano a Calvino i personaggi scaturiti da quel territorio ligure a lui familiare e per le ceste di roba che il padre gli dava da portare in villa, e per le imboscate di partigiano. Il ragazzino Pin, cresciuto tra i carrugi all'ombra della sorella prostituta, trova le tane sotterranee dei ragni infinitamente più avvincenti delle incomprensibili questioni politiche, delle trattative tra maschio e femmina. In Un pomeriggio Adamo, Libereso, capelli lunghi come una ragazza, denti bianchi in mezzo alla faccia marrone, offre alla camerierina Marianunziata un rospo, cetonie, un ramarro, rane accoppiate, una biscia: poco si cura del corteggiamento canonico. È un episodio tratto dal vero, orecchiando da dietro una siepe le insolite profferte di quel giovane forte e selvatico. Mario Calvino l'aveva portato quattordicenne in villa a occuparsi del giardino dopo avere visto i bellissimi gigli e campanule da lui coltivati in certe casseruole di fronte a una delle ultime case sanremesi, all'inizio della strada che portava su al podere.

Scoperto il manoscritto del racconto, Floriano, il fratello geologo di Italo, andò da Libereso e gli disse: «Se mi dai una sigaretta, ti faccio vedere quello che mio fratello scrive di te». Italo era affascinato da Libereso, di due anni più giovane, le cose della natura gli piaceva scoprirle con lui. Perché aveva un suo modo affettuoso e sorgivo di stare tra piante e animali, comunicare stupore e gioia di vivere. Ancora oggi, quasi novantenne, Libereso Guglielmi viene invitato ad avvicinare i ragazzi al mondo della natura, incuriosirli, insegnare loro a osservare le peculiarità degli esseri viventi e riprodurle col disegno.
«Guarda che un buon giardiniere deve saper disegnare», l'aveva ammonito Mario Calvino. È rimasto il testimone di una stagione straordinaria e perduta dell'agricoltura in Italia, quando sulla costa ligure si acclimatavano, su iniziativa della Stazione Sperimentale di Floricoltura diretta da Mario Calvino, avocadi di ogni genere, pompelmi e altri frutti insoliti, cooperando coi consorzi agrari per commercializzare varietà che adesso importiamo.

Anni fa Ippolito Pizzetti si è fatto raccontare la sua storia e quella dei Calvino in Libereso, il giardiniere di Calvino. Pizzetti, pur nella sua maestria di paesaggista ed erudizione botanica, si accostava ai giardini non da scienziato ma da poeta, in questo tanto più ricettivo a comprendere quali ricchezze potesse offrire Libereso, cresciuto com'era in un ambiente non convenzionale di esperantisti, anarchici, salutisti, vegetariani. Dopo la morte di Mario e l'abbandono di tutto quanto aveva creato al cancro della speculazione edilizia, Libereso lavorò in tanti posti, da Torre del Greco, a ottenere le orchidee da seme, all'Inghilterra, dove restò molti anni dapprima con Stuart Low, grande ibridatore di piccoli frutti, poi al giardino botanico di Myddelton House, specializzato in piante medicinali.
Viaggiatore appassionato, instancabile studioso di piante attraverso tutti i sensi, palato incluso, Libereso Guglielmi ne ha accolte quante ha potuto a Sanremo, nella sua piccola giungla felice dove andai a trovarlo anni fa tornandone carica di piantine e talee. La sua lunga chiacchierata con Pizzetti è la più viva e ispirata tra le tante possibili iniziazioni cartacee alla gioia solare di coltivare, tra le piante, la condizione di libertà in cui un altro grande erborizzatore, Rousseau, riteneva nascesse ogni uomo.

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