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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2014 alle ore 18:17.
L'ultima modifica è del 24 gennaio 2014 alle ore 18:36.

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Un visitatore cammina accanto a una delle fotografie di Vivian Maier esposta alla mostra "Street Photographer" (Corbis)Un visitatore cammina accanto a una delle fotografie di Vivian Maier esposta alla mostra "Street Photographer" (Corbis)

«Nel selfie – ha scritto l'antropologa dei media Chiara Giaccardi su Avvenire – la fotografia non è un contenuto, ma un medium, un connettore, un invito al dialogo a partire dalla propria quotidianità». Il selfie, però, è stato molto altro. Nel senso che nacque agli albori della civiltà dell'immagine, come ciliegina sulla torta iconologica per decine di artisti e professionisti della cine-fotografia, sfornando le stesse miriadi d'implicazioni interpretative che per millenni l'autoritratto fece fiorire nella pittura. Così, con un clic, il vezzo d'artista diviene fenomeno di massa. Anzi, parola dell'anno: «"Selfie" - un autoritratto allo specchio (o scattato allungando il braccio) fatto con uno smartphone - è stata selezionata come parola dell'anno 2013 dall'Oxford English Dictionary, in base al fatto che vi è stato un incremento del 17,000% del suo utilizzo, rispetto all'anno precedente…» annuncia trionfante la Reuters.

Al momento, difatti, i selfie sono ovunque e non vi sono previsioni su quando questa moda finalmente passerà. I giornali britannici riferiscono che i soli sudditi del Regno Unito arrivano a caricare oltre 35 milioni di autoritratti al mese. Nel nostro mondo iper-solarizzato e ultra-interconnesso, l'autoritratto ormai si chiama #selfie ed è il passatempo preferito dall'umanità intera. Mentre leggi questo articolo, i tuoi amici stanno postando selfie, il tuo capo sta facendo lo stesso e anche le icone della TV si stanno autoimmortalando.

Il fatto che oggi, coi potenti mezzi tecnologici di cui si dispone – e con le ben note velleità autoriali che gli abitanti l'universo digitale ostentano - il selfie sia alla portata di chiunque non deve farne dimenticare, però, come dicevamo, le nobili origini. E allora diviene d'obbligo un benedetto passo indietro per celebrare degnamente gli artisti di una volta, capaci di sfidare la banalità di un selfie del 2014 con i loro scatti pre-Instagrammiani. Eccoli: da Helmut Newton nudo in un bagno d'ospedale appena sfuggito dalle grinfie dei suoi medici a Cecil Beaton in giro con un fattissimo Mick Jagger. Dal fanatico del selfie prima che il selfie fosse inventato, cioè Stanley Kubrick ai soliti Warhol e Bacon; da un malinconico Doisneau a un inedito Munch (il suo auto-scatto è da Urlo!). Dall'icona Jackie O (con una posa che trasuda clima vacanziero chic) a Vivian Maier che si sperimenta in un gioco di specchi. Chi?

Vivian Maier ha scattato belle foto tutta la vita e non le ha mai fatte vedere a nessuno. Nel tempo libero usciva con una Rolleiflex al collo. New York. Chicago. Se ne è andata lasciando scatoloni di pellicole e rullini. Nacque nel '26 a New York, della sua vita si sa poco, solo che lavorò come tata presso alcune famiglie. Nel 2007, all'età di 81 anni, non potendo più pagarsi da vivere fu costretta a cedere la maggior parte delle proprietà a un fondo d'asta. Nel 2009 un ragazzo ventiseienne di nome John Maloof incuriosito da quelle scatole traboccanti di negativi ne comprò circa un terzo, poi si fissò che le voleva tutte. Contattò allora gli altri compratori e riuscì a ottenere l'opera omnia di una che riteneva essere una grande artista totalmente sconosciuta. Solo che quando cercò "Vivian Maier" su Google trovò solo un piccolo annuncio mortuario di pochi giorni prima: la signora era spirata portandosi nella tomba i segreti di una prolificità e di una originalità senza precedenti. C'è chi si azzarda a definirla un genio della street-photography. Chi vorrebbe indagare di più. In totale si tratta di oltre centomila fotografie, quasi tutte ancora da sviluppare. Ah, se solo la Maier avesse usato Instagram!

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