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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2014 alle ore 18:17.
L'ultima modifica è del 18 marzo 2014 alle ore 19:06.

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Inferno di famiglia in un interno, per un testo fuori dai classici canoni drammaturgici: " Visita al padre" del provocatorio autore contemporaneo sassone Roland Schimmelpfenig. Schegge di dialoghi e pensieri su una tessitura levigata e cannibalesca, lampi d'indicibili verità attraversano la scrittura sussultoria che procede a singhiozzo sulla precaria andatura esistenziale di un nucleo parentale malato, tossico di rituali e ossessioni, che squaderna senza vergogna un abisso palpabile e disperato, con un battito cardiaco empio di storia e umane fragilità.

Non cercate un significato compiuto o una logica sequenziale in quest'audace e originale allestimento, spesso per ben rappresentare il vuoto, l'incapacità di vivere e amare, la comunicazione intima che passa attraverso enigmi e frammenti, occorrono parole e azioni che slittano fuori dalla percezione razionale, la regia suggestiva e speculare di Carmelo Rifici, in un montaggio di gesti improvvisi che schioccano come corde tese che si spezzano, ha centrato il bersaglio. L'impianto scenico di sofisticata pregnanza di Guido Buganza, invade lo spazio scenico del Teatro Studio, con un effetto visivo magicamente opposto claustrofobico e sconfinato, un enorme porta finestra frammentata da un patio innevato simbolico sipario delle marginalità squassate, delimita il continuo andirivieni di queste anime desolate e sperdute nella campagna tedesca.

Il loro sconnesso equilibrio si scompagina con l'arrivo dall'America per vie misteriose di Peter, figlio incognito di una relazione occasionale del capofamiglia Heinrich. Il ragazzo, corpo e voce di Marco Foschi, che ben ne delinea lo smarrimento e il cinismo con tratto attoriale moderno, cerca annaspando di ritrovare i fili della sua origine sgretolando il dominio di quel padre estraneo, antieroe randagio e reprobo incarnato da un superlativo Massimo Popolizio, che svetta inarrivabile per naturalezza e talento recitativo su tutto il cast. Si procede a strappi mentali nella grande villa borghese abitata da altre quattro donne, l'inquieta moglie Edith di Anna Bonaiuto, la tormentata Marietta di Mariangela Granelli, l'intrappolata Isabel di Sara Putignano, la disorientata Sonja di Alice Torriani.

Tutto si agita in uno shaker di aguzzini domestici, tutti si corrompono, nelle loro vene scorre la tragedia storica tedesca, s'inzaccherano l'anima in modo indelebile grattando muri e neve, subiscono il demolitore fascino di Peter, danzano eroticamente la loro farsa macabra da burattini grotteschi e ironici, cavalcano devianza e morte alternando a citazioni classiche tra Ibsen e Cechov odierne sregolatezze, in un viaggio contromano nel mondo senza pietà di Schimmelpfenig. "Tu non lo puoi fare" urla Heinrich nel tragico epilogo, l'annientamento esistenziale dei protagonisti ci sorprende sbaragliati, siamo al capolinea, impossibile non rivedere in ognuno di loro le nostre paure, ossessioni, fragilità.

«Visita al padre» di Ronald Schimmelpfennig
Traduzione di Roberto Menin
Regia di Carmelo Rifici
Scene di Guido Buganza
Costumi di Margherita Baldoni
Luci Claudio De Pace
Musica di Daniele D'Angelo
Interpreti: Massimo Popolizio, Marco Foschi, Anna Bonaiuto, Caterina Carpio, Mariangela Granelli, Sara Putignano, Alice Torriani, Paola Bigatto
Foto di scena di Attilio Marasco
Produzione Piccolo Teatro
Durata due ore e dieci minuti con intervallo
In scena fino al 16 febbraio
Teatro Studio Melato - Milano

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