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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2014 alle ore 14:56.

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C'è stato un periodo negli ultimi decenni nel quale si sono moltiplicati i convegni, gli incontri, persino i corsi su «etica ed economia (o finanza)» oppure su «etica e politica». I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non sono certo esaltanti, considerate le cause e gli effetti perversi della crisi economica e politica in cui siamo sprofondati. Si sarebbe, perciò, tentati di condividere l'amara conclusione del Marco Polo delle Città invisibili di Calvino che al Kublai Kan replica così: «L'inferno non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

È un po' su questa seconda scelta che si deve attestare l'impegno sociale cristiano: consapevoli del limite e del peccato della creatura, dobbiamo però allargare nella storia lo spazio del Regno di Dio, ossia l'orizzonte della giustizia e dell'amore. L'asse capitale della proposta cristiana è netto: «In quanto opzione fondamentale che impone un orientamento essenziale dell'attività umana, la carità ha bisogno di incarnarsi nella giustizia, senza dovere per questo identificarsi totalmente in essa (o esaurirsi in essa)». A definire questo asserto è un teologo morale di grande finezza intellettuale e di intensa attenzione al complesso panorama contemporaneo, Gianni Piana, già docente nelle Università di Urbino e di Torino, che ora – dopo un volume dedicato alla morale fondamentale, già da noi segnalato – continua il suo progetto globale, previsto in quattro tomi, con un ampio affresco tematico proprio sulla «morale socioeconomica e politica».

La stessa enunciazione del soggetto ne rivela la vastità e la delicatezza e anche una sola occhiata gettata sull'indice del testo è sufficiente a dare un senso di vertigine. Proviamo soltanto a formulare un elenco delle questioni che si aggregano a grappolo sui tre tronchi che reggono la struttura dell'opera di Piana. Tra parentesi, la lunga militanza accademica permette all'autore l'uso di un procedimento nitidamente didattico che, però, evita la pedanteria attraverso un dettato incisivo e attraente. È per questo che ci permettiamo di suggerire la lettura anche a chi non ha consuetudine con l'etica teologica, ma è consapevole della necessità di uno sguardo non meramente sociologico e fenomenico su una realtà così rovente e "umana".

Il primo tronco argomentativo è centrale e imprescindibile, quello dei fondamenti. È proprio qui che si rivelano monche o edificate sulla sabbia certe analisi ignare di un'antropologia di base, indifferenti a principi costitutivi, allergiche a sorgenti che precedono e giudicano il flusso disperso della storia. Per un autentico umanesimo cristiano le due stelle di riferimento sono il principio della destinazione universale dei beni e la scelta preferenziale per i poveri, due criteri che sono la concreta declinazione del già evocato asse della carità-giustizia. Il secondo tronco dello scritto di Piana è più recente nella sua crescita, ma ha un'anima antica. Si alimenta, infatti, con la linfa dell'attuale globalizzazione che imprime una nuova fisionomia ai due canoni economici classici dell'efficienza e della solidarietà. Qui i fondamenti citati sopra devono confrontarsi con le ramificate dinamiche e leggi dell'"economico": l'autore rivela in questo ambito uno straordinario equilibrio tra capacità analitica e abilità sintetica.

Basti solo pensare alla sequenza delle questioni che si inanellano, ma che devono essere collocate nelle giuste caselle di un'indagine destinata a sfociare in un vaglio rigoroso: il superamento della prospettiva individualistica nell'adozione di una concezione personalistica, l'equilibrio tra sussidiarietà e solidarietà, il contrappunto tra globalità e identità locale, la dialettica fra Stato e mercato e la relativa configurazione di un'«economia civile» o di una «democrazia economica» nella quale il welfare contemperi le esigenze istituzionali con le varie soggettività sociali. E ancora: l'esigenza primaria del lavoro, diritto fondamentale della persona, il rilievo acquisito dalla questione ecologica e il radicale mutamento della comunicazione introdotta dall'impero mediatico, capace di creare un inedito fenotipo sociale.

Questo arido elenco fa, comunque, capire quanto sia grave la superficialità della politica (soprattutto italiana), incapace di iscrivere nella sua agenda un flusso così variegato di istanze strutturali. È così che il terzo tronco che regge lo studio di Piana si erge nel cielo dell'etica politica sulla quale già Cristo si era pronunciato lapidariamente col suo tweet di 50 caratteri greci e relativi spazi: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Marco 12,17). Ovviamente, questo principio si sfrangia in infinite e spesso incandescenti applicazioni, soprattutto in una società così articolata e parcellizzata com'è quella contemporanea. Tuttavia, alcuni riferimenti stanno sempre là, davanti a tutti, e impediscono di accontentarsi di una pura e semplice modellistica o del ricorso alla secca e disumana tecnologia socio-politica.

Pensiamo, ad esempio, alla persona, ma anche al bene comune, alla ricostruzione di una genuina democrazia sostenuta dalla società civile e non pilotata solo dall'alto, all'elaborazione di un ordine internazionale che non sia un'inerte società di nazioni reciprocamente in difesa o in sospetto, alla promozione di un'interculturalità dinamica in grado di superare la semplice multiculturalità statica; pensiamo, infine, all'impegno per la pace che non sia paradossalmente affidata soltanto alla difesa e neppure alla sola diplomazia e agli interventi di carattere umanitario, ma sia positivamente ancorata allo sviluppo e all'integrazione tra i popoli.

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