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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2014 alle ore 14:56.

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Nell'autunno del 2012, durante un concerto della sua meravigliosa Orchestra sinfonica di Chicago alla Carnegie Hall di New York, Riccardo Muti si girò verso il pubblico e, indicando una signora dai capelli candidi, seduta in un palco, annunciò che dedicava il pezzo successivo, il Notturno di Giuseppe Martucci, a quella signora, che tanto aveva fatto per la musica italiana.

Il gesto fu spontaneo ma anche azzeccatissimo, perché in una carriera durata mezzosecolo quella signora, il mezzosoprano Marilyn Horne, aveva aiutato a riportare all'attenzione del grande pubblico opere di Vivaldi, Rossini e altri compositori – opere che prima erano state consegnate al dimenticatoio della storia. E giovedì 16 gennaio la Horne ha compiuto ottant'anni.

Qualche giorno prima del fatidico compleanno sono andato a trovarla, nel suo elegante appartamento, dove vive da quasi quattro dei suoi otto decenni, nei pressi del Lincoln Center a New York. Non c'è da meravigliarsi se il posto d'onore all'ingresso del soggiorno è occupato da un bellissimo ritratto del suo Rossini. E nonostante gli ottant'anni e il brutto ricordo di una battaglia, nel 2005, contro un cancro al pancreas – battaglia che pochi riescono a vincere – la Horne, piccola e tondetta, è piena di energia e di progetti per il futuro. «Intanto – scherza – accanto a Magda e Licia sono ancora una bambina», riferendosi ai soprani Magda Olivero e Licia Albanese, entrambe ultracentenarie.

Ha smesso di cantare alcuni anni fa, ma dedica molto tempo all'insegnamento alla Music Academy of the West, a Santa Barbara in California, dove lei stessa aveva studiato con il leggendario soprano Lotte Lehmann. Anzi, California, dove si trasferì giovanissima dalla natìa Pennsylvania, l'ha per molti versi formata. Quando lei viveva a Los Angeles, la città ospitava profughi europei di primo rango.

«Ho conosciuto la Lehmann quando avevo diciasette anni, ma frequentavo anche lo scrittore Lion Feuchtwanger, i registi Carl Ebert e Otto Preminger, compositori di colonne sonore come Franz Waxman e Alfred Newman. A vent'anni lavoravo con Stravinskij, che mi insegnava pazientemente la giusta pronuncia delle sue canzoni russe – io che del russo non sapevo una parola! Arrossisco oggi quando penso che sono stata a cena con Stravinskij e Aldous Huxley e che ho persino osato parlare!».

A vent'anni fu la voce di Dorothy Dandridge nel film Carmen Jones di Preminger, e a ventidue indossò i panni della Cenerentola rossiniana, allestita da Ebert per la Los Angeles Guild Opera: dieci recite per la scolaresca, con 7mila presenze ogni volta, il tutto pagato dal comune e dalla contea. «Altri tempi» – dice, con un sospiro.

Sin dagli inizi cantava moltissimo repertorio italiano, ma costruì la carriera più in Germania che in Italia, dove giunse per la prima volta a metà degli Anni 50. Tornò poi in America per sposarsi con il giovane direttore d'orchestra Henry Lewis, e fu uno scandalo: persino la madre della sposa si rifiutò di presenziarsi alle nozze della figlia con un uomo di colore. Comunque a partire dagli anni 70 la nostra cantava molto in Italia, con colleghi come Renata Tebaldi («un mio idolo in assoluto», dice), Franco Corelli, Mario Del Monaco, Ettore Bastianini, Cesare Siepi, Mirella Freni, Luciano Pavarotti, Renata Scotto e tanti altri.

Le dico che la ricordo in armatura da capo a piedi nell'Orlando Furioso di Vivaldi al Filarmonico di Verona, per il tercentenario del compositore nel 1978, a eseguire le terrificanti fioriture barocche con una agilità inverosimile, ma lei commenta soltanto che quell'opera le piace ancora di più dell'Orlando di Haendel.

Di alcune sue interpretazioni rossiniane esistono per fortuna registrazioni audio e anche video. Il maestro James Levine opina che la voce e la tecnica vocale della Horne dovevano essere quasi uguali a quelle della celeberrima Isabella Colbran, musa e poi moglie di Rossini, tanto quei ruoli sembravano fatti apposto per lei. «In concerto cantavo anche la "scena dell'immolazione" del Crepuscolo degli dèi di Wagner – dice – ma ti giuro che "Una voce poco fa" del Barbiere era molto più difficile».

Oltre alla scuola californiana, Jackie – come la chiamano gli amici – insegna anche altrove, e quest'anno, a giugno, terrà lezioni all'American Academy di Roma. Vent'anni fa creò un mini-festival, The Song Continues (La canzone va avanti), una serie di master class e concerti che ha luogo alla Carnegie Hall, con colleghi famosi come insegnanti per i giovani cantanti aspiranti. «Ogni volta dico che questa è la più bella settimana della mia vita» dice – e quest'anno – proprio questa settimana, culminando nel giorno fatidico del compleanno – la "professoressa" invitata è un altro grande mezzosoprano, Christa Ludwig. Insomma, Marilyn Horne non sta lì, come molte ex prime donne, a contemplare i suoi trofei e a criticare i giovani. Anzi, si dà da fare perché la grande tradizione che lei aveva imparato dai suoi predecessori venga tramandata agli artisti di domani.

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