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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2014 alle ore 17:05.

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Una scena di Stations of the CrossUna scena di Stations of the Cross

A Berlino è il giorno di Lars von Trier: il controverso autore danese ha presentato fuori concorso «Nymphomaniac: Volume I», titolo tra i più discussi e chiacchierati degli ultimi tempi per la sua campagna promozionale ad alto contenuto erotico.
Prima delle due parti in cui il film è diviso, «Nymphomaniac: Volume I» si apre con un uomo che trova una donna contusa in un vicolo: quest'ultima gli racconterà la sua intera esistenza, dall'infanzia all'età adulta, autodiagnosticandosi come ninfomane.
Proposto a Berlino in versione integrale (senza i tagli che la pellicola dovrà subire al momento dell'arrivo in sala), il film dichiara i suoi intenti fin dall'incipit: una silenziosa nevicata lascia spazio a una canzone heavy metal che segna l'immediato abbandono della delicatezza iniziale.

Lars von Trier mostra, senza escludere alcun dettaglio, gli infiniti rapporti sessuali della sua protagonista, rendendo superficiale qualsiasi possibile approfondimento sulla sua condizione umana.
Citazioni sparse, che spaziano dalla pittura (Balthus) alla musica (Bach), vengono inserite come un vuoto esercizio intellettuale fine a se stesso in una pellicola a cui manca completamente il senso della composizione.

Spesso discusso anche per i suoi progetti più recenti, dallo scandaloso «Antichrist» all'affascinante «Melancholia», von Trier (che, provocatoriamente, si è presentato davanti all'obiettivo dei fotografi con una maglietta con la scritta "persona non grata", accanto al logo del Festival di Cannes) non è mai apparso tanto inconsistente come in questo caso, sia per le pacchiane scelte stilistiche, sia per la direzione di un gruppo di attori poco convincenti. In attesa della seconda parte, quello che rimane di «Nymphomaniac: Volume I» altro non è che una sterile provocazione.
Pellicola decisamente più importante e di ben altro spessore cinematografico è «Stations of the Cross» diretta dal tedesco Dietrich Brüggemann.

Inserito in concorso, il film ha per protagonista la quattordicenne Maria, combattuta tra il desiderio di essere un'adolescente come tutte le altre e la vita familiare, segnata da una rigida dottrina religiosa.
Diviso in quattordici capitoli che corrispondono alle stazioni della Via Crucis, «Stations of the Cross» racconta il sacrificio della giovane Maria, disposta a tutto pur di aiutare il fratellino che, in quattro anni di vita, non ha mai proferito una parola.

Lo schema di Brüggemann è di straordinario rigore: solo quattordici inquadrature, una per ogni capitolo, senza stacchi di montaggio e quasi tutte statiche, che focalizzano l'attenzione tanto sulle parole quanto sulle (splendide) immagini.
Echi di teatro e cinema nordeuropeo (a partire dal danese Carl Theodor Dreyer) per una pellicola che, nonostante abbia un andamento narrativo facilmente prevedibile, non può lasciare indifferenti.

A oggi, «Stations of the Cross» è uno dei più seri candidati alla vittoria finale: in odore di premi anche la giovanissima Lea van Acken (Maria), protagonista di un vero e proprio tour de force attoriale.
Infine, nella competizione principale è stato proposto anche «Historia del miedo» dell'esordiente argentino Benjamin Naishtat.

Ambientato a Buenos Aires, il film inizia con una ripresa da un elicottero che sta sorvolando un quartiere benestante della capitale alla ricerca di possibili pericoli.
È solo il primo tassello di un mosaico di situazioni angoscianti, vere o presunte che siano, di cui rimane vittima una piccola comunità altolocata.

Antinarrativo e a tratti quasi sperimentale, «Historia del miedo» è un prodotto coraggioso che riflette sulla xenofobia di una classe sociale in cui ogni contatto con il "mondo esterno" (la povertà di una nazione in grave crisi) equivale a sentirsi minacciati.
Naishtat dimostra già un discreto talento, seppur la sua opera prima non sia esente da difetti: «Historia del miedo» risulta infatti prolisso e ridondante a causa di alcuni passaggi narrativi superflui e di diverse sequenze di troppo.

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