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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2014 alle ore 08:55.
L'ultima modifica è del 16 febbraio 2014 alle ore 14:54.

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Mario Nuzzi, detto Mario dei fiori (Roma 1603-1673) - Mazzo di fiori entro vaso istoriato1650-1660 circa - olio su telaMario Nuzzi, detto Mario dei fiori (Roma 1603-1673) - Mazzo di fiori entro vaso istoriato1650-1660 circa - olio su tela

Ne «Le stanze delle Muse. Dipinti barocchi della collezione di Francesco Molinari Pradelli», l'esposizione che la Galleria degli Uffizi dedica alla collezione di uno dei più grandi direttori d'orchestra del Novecento, appunto Francesco Molinari Pradelli (1911-1996), le Muse in realtà non potevano che essere almeno due: Euterpe (musica) e Clio (musa del canto epico e della storia). Fino all'11 maggio 2014 sono 100 i dipinti esposti al pubblico godimento, la più significativa raccolta formatasi a Bologna nel Novecento.

Molinari Pradelli dimostra in queste scelte passione, gusto e fiuto infallibile, ma denuncia anche un doppio legame col capoluogo toscano. Non solo per la sua bacchetta impegnata per oltre trentanni sul podio del Maggio Musicale, ma per quel profumo longhiano di cui la fondazione omonima è erede, che traspira dalle sue scelte. Scelte in realtà indice di grossa indipendenza di giudizio e di fiuto infallibile. Non per niente alcune delle opere della collezione hanno impressionato l'immaginario collettivo in occasione di esposizioni temporanee dove ne hanno siglato la cifra stilistica. Valga per tutte la bellissima, dolente Europa del Cagnacci, finita sulla copertina del catalogo della mostra del 2002 «Il mito d'Europa».
Siamo davvero agli albori dell'attenzione storico critica, quando il Maestro, dalla pittura ottocentesca, matura un vero amore per il genere della natura morta (gli studi al riguardo erano solo agli albori). Una passione che esulava dal valore materiale dell'investimento, sconfinando nella curiosità intellettuale che contraddistingue il vero ricercatore. Così Antonio Natali, direttore degli Uffizi, si premura di sottolineare come : «L'aspirazione di lui era quella d'acquisire opere che gli fossero consentanee. N'è venuta una collezione ch'è lo specchio veridico della sua disposizione ideologica, per nulla incline al conformismo».

Se esiste una preminenza di dipinti di figura della Scuola emiliana, nomi quali Pietro Faccini, Mastelletta, Guido Cagnacci, Marcantonio Franceschini, i fratelli Gandolfi, e di quella napoletana, a iniziare da Luca Giordano, ecco anche i veneti (Palma il Giovane, Alessandro Turchi, Sebastiano Ricci, Giovanni Battista Pittoni) e i liguri e lombardi (Bernardo Strozzi, Giulio Cesare Procaccini, Fra' Galgario, Giuseppe Bazzani) o romani (Gaspard Dughet, Pier Francesco Mola, Lazzaro Baldi, Paolo Monaldi). Ma è indubbio che la notorietà internazionale fu quasi immediatamente dovuta alle nature morte. Cita nella propria introduzione in catalogo Natali quelle due raffigurazioni di cucine o dispense che identificavano uno snodo della bellissima mostra che Empoli, sua città natale dedicò nel 2004 a Jacopo di Chimenti (detto appunto l'Empoli). Parimenti non sfugge come tanti dei nomi sopracitati fossero cardini della monumentale mostra che Mina Gregori dedicò anni fa nelle sale di Palazzo Strozzi proprio al tema della natura morta. Un'occasione preziosa per conoscere da vicino una collezione ante litteram in grado addirittura di orientare all'epoca il giudizio di critici più illustri e una sontuosità pittorica che premia qualsiasi sforzo a riguardo.
Le stanze delle muse. Dipinti barocchi dalle collezioni di Francesco Molinari Pradelli
Firenze, Galleria degli Uffizi, 11 febbraio - 11 maggio 2014

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