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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2014 alle ore 18:27.

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Dulcis in fundo: in attesa della cerimonia di premiazione di domani sera, al Festival di Berlino sono stati presentati gli ultimi due film in concorso, entrambi degni di nota e ricchi di spunti d'interesse.

Tra questi, il più atteso era «The Little House» diretto dal regista giapponese Yoji Yamada.

Basato su un noto romanzo di Kyoko Nakajima, il film si apre con la morte dell'anziana Taki, nubile e senza figli. Un suo giovane parente, Takeshi, scoprirà il passato della donna leggendo diverse pagine in cui ha raccolto le sue memorie.

Girato con grande eleganza formale, «The Little House» è un mélo d'altri tempi, che racconta i cambiamenti sociali e politici nel Giappone del periodo pre-seconda guerra mondiale.

Yoji Yamada, classe 1931, è da sempre autore di un cinema di grande umanità, fortemente debitore dello stile di Yasujirô Ozu, uno dei più importanti registi asiatici del secolo scorso. Delicato e commovente per tutta la sua durata, «The Little House» risulta prolisso e forzato soltanto in una conclusione eccessivamente retorica.

Toni molto diversi sono quelli di «Macondo» della regista tedesca Sudabeh Mortezai.

Protagonista è un ragazzino di undici anni, fuggito dalla Cecenia e arrivato in un campo profughi alla periferia di Vienna. Orfano di padre, vive insieme alla madre e a due sorelline a cui dovrà badare in prima persona.

Attraverso uno stile semi-documentaristico, Sudabeh Mortezai riesce a costruire un racconto credibile, duro e toccante, incentrato su una realtà che ci viene solitamente tenuta nascosta.

Il modello di riferimento è il cinema morale dei fratelli Dardenne per un film che, pur con qualche calo nella parte centrale, riesce a centrare l'obiettivo risultando tragico e spietato al punto giusto.

Fuori concorso, invece, è stata presentata una nuova versione de «La bella e la bestia» firmata dal francese Christophe Gans. Protagonisti di questo ennesimo adattamento per il grande schermo della celebre fiaba (tra le trasposizioni più note ricordiamo quelle di Jean Cocteau e di Walt Disney) sono Léa Seydoux e Vincent Cassel.

A otto anni di distanza da «Silent Hill», Gans torna dietro la macchina da presa per dirigere un film fiacco, privo di spessore e che rischia spesso di cadere nel ridicolo involontario.

Poche trovate scenografiche non riescono a dare un senso a questo nuovo «La bella e la bestia», di cui si poteva fare tranquillamente a meno.

Infine, una menzione per «I cavalieri della laguna» di Walter Bencini, ultimo titolo italiano in cartellone. Inserito nella sezione Culinary Cinema, si tratta di un documentario sulla vita dei pescatori della laguna di Orbetello.

Il regista ha voluto raccontarne la storia e la filosofia di vita, intervistandoli e seguendoli nella loro attività quotidiana. Un lavoro suggestivo e interessante, più per i contenuti che per una forma fin troppo estetizzante per un prodotto di questo tipo.

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