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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2014 alle ore 08:57.

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Una scena di "Diario di un maestro" di Vittorio De SetaUna scena di "Diario di un maestro" di Vittorio De Seta

Osservando come alcuni pesci difendono le loro uova in un acquario, apprendono «un modo di guardare che può essere applicato a infiniti altri casi». Fiorenzo Alfieri propone un modello a loop e racconta quanto un gruppo di futuri insegnanti, all'Università, si sia appassionato nel partecipare attivamente a un laboratorio in cui al centro c'era il farsi del pensiero. Partendo da una presa di contatto con un fenomeno fisico come il galleggiamento, si è sviluppata una conversazione, che è «il migliore ambiente possibile per costruire conoscenza, hanno scoperto l'importanza del come se e sono passati agevolmente dal macro al micro: due atteggiamenti fondamentali nello studio delle scienze». Il problema è che, nello stupore di quegli studenti verso un metodo che li metteva in gioco in prima persona, c'era la drammatica constatazione di una carenza, perché ci sono ragazzi che attraversano tutti gli anni della scuola senza mai incontrare il dialogo e la discussione, come fondamenti del conoscere. E allora, se resteranno nella scuola a insegnare, come insegneranno?

Il libro si conclude a Siracusa, dove in tre serate il nonno propone al nipote la visione di una commedia e due tragedie greche. Ed è ragionando intorno a Le donne al Parlamento, Edipo re, ed Antigone che il dialogo si conclude con le parole di Sofocle: «Qualcuno crede di essere il solo a ragionare, di saper parlare e capire come nessuno. Ebbene, persone così, se le apri, sono vuote».
Una bella provocazione non solo per gli insegnanti, questo libro, che invita a piantarla di pensare i ragazzi come tutti «sdraiati» e a assumerci, noi adulti, le nostre responsabilità.

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