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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2014 alle ore 09:03.

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Palazzo Apostolico, Sala Clementina, 25 dicembre 1961. Giovanni XXIII sottoscrive la Bolla di indizione del Concilio ecumenico Vaticano II «Humanæ salutis», aiutato da mons. Enrico Dante, segretario della Congregazione dei Riti. Alle loro spalle (da sinistra) mons. Mario Nasalli Rocca di Corneliano, maestro di Camera (futuro cardinale), e mons. Canisio Van Lierde, Sacrista pontificio (foto ASV, Conc. Vat. II, b. 634, fasc. 3)Palazzo Apostolico, Sala Clementina, 25 dicembre 1961. Giovanni XXIII sottoscrive la Bolla di indizione del Concilio ecumenico Vaticano II «Humanæ salutis», aiutato da mons. Enrico Dante, segretario della Congregazione dei Riti. Alle loro spalle (da sinistra) mons. Mario Nasalli Rocca di Corneliano, maestro di Camera (futuro cardinale), e mons. Canisio Van Lierde, Sacrista pontificio (foto ASV, Conc. Vat. II, b. 634, fasc. 3)

Il giornale dell'anima, i diari spirituali di Angelo Giuseppe Roncalli, che assunse il nome di Giovanni XXIII quando divenne papa, è un libro stranamente deludente e stranamente affascinante. Scritto in gran parte nei periodi di ritiro, esso consiste di espressioni di devozione infinitamente ripetitive e di autoesortazioni, «esami di coscienza» e annotazioni di «progressi spirituali», con solo rarissimi riferimenti ad avvenimenti reali, così che per pagine e pagine sembra di trovarsi di fronte a un sussidiario delle elementari che spiega come diventare buoni ed evitare il male.

E, tuttavia, nel suo modo strano e inconsueto, riesce a offrire una risposta chiara a due interrogativi che sono passati per la testa di molti quando, tra la fine di maggio e l'inizio di giugno del 1963, papa Roncalli giaceva sul suo letto di morte in Vaticano. A propormele in una forma semplice e diretta è stata una cameriera romana che un giorno mi disse: «Signora, questo papa era un vero cristiano. Com'è stato possibile? E com'è potuto accadere che un vero cristiano sedesse sul trono di S. Pietro? Non ha forse dovuto essere nominato vescovo, arcivescovo e cardinale, prima di essere infine eletto papa? Nessuno si era accorto di chi egli realmente fosse?». Ebbene, la risposta all'ultima delle sue tre domande sembrerebbe proprio essere «no». Egli non era tra i papabili quando entrò in conclave; e i sarti vaticani non avevano preparato alcun abito della sua taglia. Egli venne eletto perché i cardinali non riuscivano a mettersi d'accordo ed erano convinti, come scrisse egli stesso, che «sarei stato un papa di provvisoria transizione», di nessuna rilevanza. «Invece», continuava, «eccomi già alla vigilia del quarto anno di pontificato, e nella visione di un robusto programma da svolgere in faccia al mondo intero, che guarda e aspetta».

A sorprendere non è tanto il fatto che egli non rientrasse tra i papabili, ma che nessuno si fosse accorto di chi egli realmente fosse, e che venne eletto perché tutti lo consideravano una figura di scarso peso. Comunque, tutto ciò è sconcertante solo retrospettivamente. A ben vedere, la Chiesa ha predicato l'imitatio Christi per quasi duemila anni e nessuno può dire quanti sacerdoti e monaci possano essere esistiti che, vivendo nell'oscurità attraverso i secoli, abbiano affermato come il giovane Roncalli: «Ecco dunque il mio modello: Gesù Cristo», perfettamente consapevole sin dall'età di diciott'anni che essere «simile al buon Gesù» significava essere «trattati da pazzi»: «Dicono e credono che io sia un minchione. Lo sarò anche, ma il mio amor proprio non lo vorrebbe credere. È qui il bello del giuoco».
Ma la Chiesa, essendo un'istituzione e, specialmente a partire dalla Controriforma, un'istituzione più interessata a conservare le credenze dogmatiche che la semplicità della fede, non favorì la carriera ecclesiastica di uomini che avevano preso alla lettera l'invito: «seguitemi!». Non che i suoi esponenti temessero consapevolmente gli elementi chiaramente anarchici presenti in un modello di vita puramente e autenticamente cristiano; semplicemente ritenevano che «soffrire ed essere disprezzati per Cristo e in Cristo» fosse la politica sbagliata.

Ed era proprio questo che Roncalli desiderava ardentemente ed entusiasticamente quando citava in continuazione queste parole di san Giovanni della Croce. E lo desiderava sino al punto di «portare più viva l'impronta... della rassomiglianza con Cristo crocifisso» sin dalla cerimonia della sua consacrazione episcopale, deplorando il fatto «di aver sofferto troppo poco finora» e sperando e auspicando che «il Signore mi visiti con tribolazioni particolarmente affliggenti», «qualche grande sofferenza e afflizione del corpo e dello spirito». Egli accolse la sua morte dolorosa e prematura come conferma della sua vocazione: il «sacrificio» necessario per la grande impresa che egli doveva lasciare incompiuta. La riluttanza della Chiesa a nominare alle cariche più alte quei pochi la cui unica ambizione era di imitare Gesù di Nazaret non è difficile da comprendere.

Può esserci stata anche un'epoca in cui i membri delle gerarchie ecclesiastiche hanno ragionato come il Grande Inquisitore dostoevskiano, timorosi che, per dirla con Lutero, «il destino più duraturo della parola di Dio sia di mettere a soqquadro il mondo col suo messaggio, perché il sermone di Dio giunge per cambiare e rinnovare la terra intera fino a condurla a essa». Ma questi tempi sono ormai lontani. Essi avevano dimenticato che «essere gentili e umili... non equivale a essere deboli e accomodanti», come Roncalli annotò in un'occasione. Ed è proprio questo che erano destinati a scoprire: che l'umiltà di fronte a Dio e la remissività di fronte agli uomini sono due cose ben diverse, e per quanto fosse grande in certi ambienti ecclesiastici l'ostilità nei confronti di questo papa assolutamente atipico, va a merito della Chiesa e della sua gerarchia che essa non eccedette e che molti alti dignitari, i principi della Chiesa, finirono per essere conquistati da Roncalli.

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