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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2014 alle ore 12:22.
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Si potrebbe definirlo con l'ossimoro: un monumento alla leggerezza. Paolo Poli in oltre cinquant'anni di carriera trascorsa soprattutto in teatro, ha intriso di cultura il più popolare dei generi, il varietà, fino a ottenerne un suo personalissimo e inimitabile modello.
Sulla soglia degli ottantacinque anni, ha conservato intatta la sua aria di bimbo malandrino, quella vena di pregevolissima malizia con la quale ha affrontato tanta parte della cultura italiana del ‘900 e non solo. Da Gozzano a Fogazzaro, passando per Palazzeschi e Anna Maria Ortese, ma anche santa Rita Da Cascia e Caterina de' Medici. Sempre fresco, leggero, pungente e malizioso. Ora è approdato al Pascoli, di cui propone al pubblico la poetica, in un torrente di versi rimati, alternati a siparietti musicali coloratissimi.
Quelle che propone nello spettacolo non sono le poesie di Pascoli che tutti conosco per aver studiato a scuola, ma affiorano tutti i temi del poeta: bambini morti, segrete infelicità, alberi sradicati, vita contadina di fatiche ingrate; un fiume di parole che solo la levità irridente di Poli riesce a modellare in un flusso teatrale.
Eccolo qui, nel suo sobrio abito scuro, corredato dall'unico vezzo del papillon, declamare con finta innocenza l'onomatopea tratta dal Valentino vestito di nuovo: "…un cocco, ecco, un cocco per te", per poi scomparire in quinta e tornare vestito da contadinella, con una lunga canna da pesca in mano, e cantare "Vieni pesciolino mio diletto…" tra garbati ammiccamenti e con innata eleganza.
In questo modo tutte le parti in versi sono proposte dall'attore e dai quattro boys che lo affiancano, con sobrietà e compostezza, in abito scuro, ad enfatizzare lo squilibrio del sentimentalismo pascoliano. Salvo poi scatenarsi nel gioco en travesti, tanto che i siparietti che punteggiano lo spettacolo in un rutilare di costumi e musichette, più che un ruolo di contrappunto teatrale assumono la valenza di proiezione psicologica: è lo stesso Paese avvolto dalle rime debordanti del poeta a nutrirsi poi di "Tripoli, bel suol d'amore" o a soffrire per l'addio degli anarchici a Lugano.
La levità del tutto è sottolineata da un contenitore scenico fatto di telette dipinte che paion di nulla, ma sono opere di un maestro come Lele Luzzati e citano molta pittura italiana del ‘900.
Aquiloni
due tempi di Paolo Poli liberamente tratti da Giovanni Pascoli
regia Paolo Poli
coreografie Claudia Lawrence
scene Emanuele Luzzati
costumi Santuzza Calì
musiche Jacqueline Perrotin
con Paolo Poli, Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco
All'Elfo Puccini di Milano fino a domenica 23 febbraio; Oleggio 25/2; Torino, Teatro Carignano 6-18/5
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