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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2014 alle ore 07:39.

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Il 2014 potrebbe essere ricordato come l'anno del ritorno della politica radicale nel romanzo americano. A dimostrarlo sono due libri di prossima pubblicazione in Italia: il primo è I lanciafiamme di Rachel Kushner. L'altro è Il giardino dei dissidenti di Jonathan Lethem (Bompiani, esce il 12 marzo), un'opera di 400 pagine sulle vicissitudini di una famiglia ebraica del Queens alle prese col disfacimento dell'ideologia comunista. Il primo è un romanzo ambiguo, evocativo e riuscito. Il secondo no. Lethem non potrebbe scrivere un romanzo sciatto a pagarlo, ma Il giardino dei dissidenti è un'opera farraginosa e frustrante che forse proprio per questo è in grado di restituire il percorso accidentato di una sinistra davvero radicale negli Usa. C'è un po' di incredulità nel leggere dell'espulsione di Rose Zimmer – la militante al centro del romanzo di Lethem – dal partito comunista per essersi messa con un poliziotto nero repubblicano. Un'espulsione dal partito che avviene in una cucina. Nel 1955. A New York, non a Leningrado. Fa un po' sorridere leggere di epurazione tra gli americani antiamericani che non potendo contare su numeri strabilianti in teoria farebbero meglio a tapparsi il naso e contare su tutti i propri militanti per sperare di uscire dalle enclave (il Queens, il Village, Woodstock) in cui sono costretti a vivere. Nei romanzi americani i leftist non sono mai portatori di un grande racconto nazionale – non a caso sia quelle di Lethem che di Kushner sono storie newyorchesi o traslate all'estero – e vengono descritti quasi sempre in reazione alla politica ufficiale. Eppure per un esercizio in passione e profondità, dettato forse anche da malinconie private (la madre di Lethem era un'attivista ebrea di Brooklyn), ne Il giardino dei dissidenti la storia dei rivoluzionari sembra quasi l'unica che esista, e in questo l'autore stabilisce un nuovo precedente.

È curioso, se non indicativo, che in entrambi i romanzi ad abbracciare la protesta siano principalmente donne. Uno schema che viene ricalcato spesso: sia in Pastorale americana di Philip Roth che in Diglielo da parte mia di Joan Didion le terroriste che minacciano la coscienza nazionale sono ragazze; lo stesso ha fatto in tempi più recenti Jennifer Egan con The Invisible Circus dove una giovane donna si lascia arruolare da un movimento rosso tedesco. L'idea, un po' terribile, è che ci sia bisogno di un substrato di sensibilità o di follia per dedicarsi alla politica radicale e che questa sensibilità– e questa follia– sia prevalentemente femminile. O peggio: che si metta mano alle pistole per rimediare a dissesti sentimentali. Rose Zimmer che mette a ferro e fuoco il Queens con le sue arringhe di protesta a un certo punto si sente dire: «Un uomo. Tutto quel che ti è successo è stata colpa di un uomo. Per essere una rivoluzionaria il tuo cuore spezzato è terribilmente banale Rose». Del resto anche l'inossidabile Iron Rinn di Ho sposato un comunista di Roth cadeva per una donna. Insomma, non è raro che anche i romanzi politici migliori finiscano col diventare romanzi intimi. L'altro dato indicativo è che molte di queste storie sono ambientate nel passato: Kushner sceglie gli anni Settanta, Lethem parte dal secondo dopoguerra, ma nel momento in cui il nipote di Rose abbraccia il movimento Occupy Wall Street l'epica della sinistra è ridotta in briciole e vive solo di saltuari sprazzi. Tra infatuazioni per il terrorismo rosso di matrice europea e saghe private, che cosa resta della politica radicale nel romanzo americano oggi? Abbiamo ancora il terrorismo esoterico di Don DeLillo e l'ironia gender-bending con cui Thomas Pynchon smaltisce le ultime ossessioni 9/11. Per il resto, la scelta è tra l'approccio estetizzante di Kushner o quello intimo e agonizzante di Lethem? Lontanissimo il Norman Mailer che voleva scrivere un romanzo in grado di scuotere la coscienza nazionale. Lo scrittore che prova a fare dei radicali americani qualcosa di più di una curiosa eccentricità del sistema, come Lethem, fallisce. Neanche lui resiste alla tentazione di trasformare l'ideologia in una faccenda privata. Come insegnano questi romanzi, il comunismo in America non muore solo per Reagan, ma anche per gli scrittori che al suo impatto sulla società preferiscono la sua congenita e polverosa malinconia. In fin dei conti, chi l'ha detto che un romanzo debba cambiare le cose.

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