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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2014 alle ore 19:50.
L'ultima modifica è del 28 marzo 2014 alle ore 14:05.

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Un libro appena uscito getta nuova luce sulle vicende che affondano nel crack del Banco Ambrosiano. É "Le mani della mafia" (Chiarelettere) di Maria Antonietta Calabrò, giornalista del Corriere Della Sera. Un corposo e ricco libro-inchiesta che affronta trent'anni di storia mettendo l'accento sugli stretti legami tra la morte del banchiere Roberto Calvi, il crac della sua banca e lo Ior - la banca vaticana che ricorre a intervalli regolari nelle trame italiane -, con sullo sfondo la mafia. Quella appena uscita in libreria è la versione aggiornata e arricchita della prima edizione che quando uscì per la prima volta nel 1991 contribuì a far riaprire le indagini sulla morte di Calvi.

Nel libro tra l'altrro l'autrice che dopo il crac del Banco Ambrosiano quegli stessi conti dello Ior sono andati avanti operando in un'altra modalità, ma che di fatto questi vecchi conti hanno continuato ad esistere nonostante il crollo dell'Ambrosiano. Sono i cosiddetti: "conti misti a gestione confusa". Sono dei conti dello Ior aperti presso banche italiane. Gli stessi conti che sono sopravvissuti al vecchio Ambrosiano e - spiega Calabrò - che dopo il crac hanno continuato ad operare su altre sei banche, come ad esempio il vecchio conto della Banca di Roma di via della Conciliazione e poi fino a Unicredit, quelli dell'Ambrosiano Veneto poi divenuto Banca Intesa e ancora Banca Intesa San Paolo, la Banca del Fucino e altre banche. Questi conti, come scrivono i magistrati, non sarebbero dei semplici depositi interbancari, ma hanno continuato a funzionare con una modalità particolare. Per tutelare i propri clienti lo Ior operava su queste banche dicendo che quelli erano conti Ior, però le operazioni le faceva per altri senza identificare il cliente per cui le effettuava. Questa gestione confusa, secondo la Banca d'Italia e secondo la magistratura italiana, espone i conti Ior al rischio molto pesante del riciclaggio ed è il motivo per cui tutta l'operatività dello Ior con l'Italia è stata bloccata.

Tra i fatti più clamorosi su cui si scava ci sono quelli del del settembre 2010, con il sequestro da parte della Procura di Roma di 23 milioni di euro posseduti dallo Ior sul conto corrente dell'Unicredito nella filiale di via della Conciliazione di Roma e per il quale furono indagati per riciclaggio l'allora Presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il Direttore Generale Paolo Cipriani.
Per arrivare al giugno del 2013, con il caso clamoroso - il primo affrontato direttamente da Papa Francesco - che ha visto coinvolto Monsignor Nunzio Scarano, alto prelato, ex capo contabile dell'Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) per corruzione, riciclaggio e falso. Questo primo scandalo nel giugno 2013 fece crollare i vertici massimi dello Ior: il direttore generale dello Ior Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli furono infatti costretti a dimettersi dai loro incarichi.

Per Caalbrò il caso Scarano ha dimostrato che il problema dello Ior non era solo relativo ai conti cosiddetti ‘laici', cioè di personalità, eventualmente italiane, che non avevano diritto a possedere il conto. Il problema era anche il personale ecclesiastico che aveva legalmente tutti i diritti di possedere un conto allo Ior, come Scarano, ma che si prestava a fare il mediatore dietro pagamento, con punte percentuali del 2%, per il riciclaggio di denaro di altri soggetti italiani per milioni di euro. Il caso Scarano è quello che ha portato i più grandi cambiamenti, come ad esempio il cambio della direzione generale Ior, il rinnovo della commissione cardinalizia di controllo presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone. Papa Francesco ha poi voluto cambiare il Presidente dell'Aif (ovvero l'Authority di controllo sui flussi finanziari, l'organo che vigila sulle operazioni dello Ior, nda), sostituendo il cardinale Attilio Nicora con Monsignor Corbellini, e anche importanti dirigenti dell'Apsa, presso la quale il capo contabile era appunto Scarano.

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