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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2014 alle ore 11:17.

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Se uno ti dice Elvis, il pensiero va immediatamente a quel giovanotto che imbraccia la chitarra acustica come fosse un fucile immortalato da William V. Robertson sulla copertina del primo album. Se ti parlano dei Fab Four, non puoi non andare con la mente ai profili dei quattro di Liverpool che si stagliano dal buio, così come li pensò Robert Freeman per «With the Beatles». Difficile immaginare i Rolling Stones senza quell'aura che Gered Mankowitz impresse loro.

Potere della cosiddetta «copertina iconica» che si ottiene solo quando il fotografo ritrattista, per chissà quali circostanze favorevoli, riesce a racchiudere in uno scatto l'essenza più profonda di un artista e questo scatto finisce sulla cover di un disco che passa alla storia. Nel panorama dell'italico cantautorato non se ne contano molte, ma tra queste c'è senza dubbio il primissimo piano della fronte di Lucio Dalla che guarda in alto, verso il basco di lana e gli occhiali di osso che indossò nel suo periodo migliore. L'album è «Dalla», anno di grazia 1980: quello di «Futura» e «Balla balla ballerino», per capirci. Il fotografo è Renzo Chiesa, cremonese di nascita e milanese d'adozione, 63 anni in larga parte trascorsi ai piedi dei palcoscenici rock o nelle cantine jazz, in una mano l'automatica, nell'altra l'obbiettivo. Al suo sterminato archivio di ritratti musicali è dedicata la mostra «Rock e altre storie», in programma alla Villa Sirtori di Olginate (Lecco) dal 29 marzo al 13 aprile. Ci sono dentro tutti o quasi: dallo stesso Dalla a Giorgio Gaber e Fabrizio De André sul versante italiano, da Jimi Hendrix ai Rolling Stones, passando per Jethro Tull e Bob Marley su quello internazionale, fino a Bill Evans per il panorama jazzistico. «Ho fatto il fotografo rock - racconta Chiesa – per buona parte della mia carriera. La fortuna è stata che quegli anni coincidessero con la massima espressione del genere. E che le rockstar, all'epoca, non fossero inavvicinabili come sarebbero diventate a partire dagli anni Ottanta».

Galeotto fu Hendrix
Il battesimo del fuoco, per Chiesa, fu il concerto di Hendrix al Piper. «Era il 1968, – ricorda – ero un ragazzino stregato da "Blow up" e mi portai dietro una Bencini 2, tutt'altro che una macchina professionale. Scattai senza flash, utilizzando le luci del palco». Ancora non lo sapeva, ma si trattava della genesi di una cifra stilistica, la stessa che caratterizzerà i lavori da professionista. Il resto lo avrebbe fatto la residenza scelta dai suoi genitori: «Andammo a vivere – spiega Chiesa – a un tiro di schioppo dal Palalido che all'epoca era per Milano ciò che la Royal Albert Hall era per Londra e il Fillmore East per New York». Fu lì che, nell'ottobre del '70, immortalò gli Stones freschi dell'arrivo di Mick Taylor. «Non mi perdevo un concerto e, intanto, l'archivio cresceva». Chiesa si ritrovò così a lavorare per le riviste di alcuni dei principali editori del periodo.

Quel «Gelato a limon» con Conte
Il suo tratto più celebre, in ogni caso, è quello delle copertine. «La prima di una certa importanza – spiega – fu quella di "Un gelato al limon", disco del grande salto di Paolo Conte». Correva l'anno 1979 e Chiesa fu invitato dalla Rca a recarsi al ristorante Brellin, in zona Navigli. «L'idea – dice il fotografo – era ricreare l'atmosfera del bar Mocambo, quel misto di Parigi, Sudamerica, pianura Padana, fumo di sigarette e improvvisazioni jazzistiche che rappresenta una costante della poetica di Conte, sin dal primo album». Perché il miracolo riuscisse bastarono lo sguardo pensoso dell'Avvocato al pianoforte, la posa plastica del contrabbassista Giorgio Azzolini e il broncio seducente di Silvana Casarotto, «una ragazza che lavorava all'ufficio stampa di Rca che si prestò come modella».

«Dalla», croce e delizia
Quanto alla copertina iconica di «Dalla», per Chiesa è stata croce e delizia. «Tutto nacque per caso», ricorda. «Seppi dalla radio che Lucio stava registrando a Carimate. Chiamai in studio, me lo passarono e fissammo un appuntamento. Gli feci una serie di scatti», l'ultimo dei quali a distanza di un anno si sarebbe rivelato quello definitivo. «Avevo l'indirizzo di Dalla a Bologna – continua Chiesta – e allora decisi di spedirglielo proponendoglielo come copertina. Poco dopo mi contattò la Rca pronta ad acquistare la foto». Ma l'utilizzo dell'immagine sarebbe andata oltre quanto pattuito inizialmente, «in base al contratto – ricostruisce il fotografo - avevano facoltà di usarla solo per l'album ma ci fecero anche manifesti e così decisi di bloccarli». Da quei fatti fino alla morte del cantautore bolognese sono trascorsi più di trent'anni. «Non ci siamo più né visti, né parlati – racconta Chiesa – e questo un po' mi dispiace». Perché probabilmente nulla come la copertina di quel disco inquadra visivamente l'artista al suo apice.

Renzo Chiesa, «Rock e altre storie», Olginate (Lecco), Villa Sirtori, dal 29 marzo al 13 aprile 2014

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