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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2014 alle ore 14:43.
L'ultima modifica è del 21 marzo 2014 alle ore 14:55.

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Non sono eroi e mai hanno pensato di essere definiti tali. Eppure il destino ha fatto loro attraversare i crocevia della grande storia. Eroi per caso, verrebbe da dire, anche se è più esatto definirli come i salvatori d'ogni epoca, quelli che hanno teso una mano a chi rischiava la vita, spesso rischiando la propria. Sono i protagonisti dello splendido saggio "alla rovescia" che ci propone Anna Bravo.

Li troviamo tra le trincee della prima guerra mondiale o nei villaggi indiani; sono i vicini di casa di un ebreo o di un perseguitato durante il tempo della oppressione nazifascista, in Italia come in Danimarca; spuntano nei villaggi del Kosovo sconvolti dalla ferocia etnica; sono monaci, monache e cittadini del Tibet, ambita preda di bellezza del gigante cinese.

Se chiedi loro perché lo hanno fatto, perché hanno offerto rifugio a oppressi o soldati braccati, altro non rispondono: «Era normale», «era la situazione», «cos'altro potevo fare?». Anna Bravo ricorda quanto scritto da Hanna Arendt sui comportamenti morali in tempi bui che riconduce «non a imperativi categorici, ma all'attaccamento verso quel partner silenzioso che accompagna ciascuno di noi e che si esprime non tanto in un non devo quanto in un non posso perché se facessi male sarei condannato a vivere insieme a un malfattore per il resto dei miei giorni».

La conta dei salvati è la storia del sangue risparmiato che occupa poche e talvolta nessuna pagina nei libri di storia, perché tutto sbiadisce di fronte alla guerra e alla competizione violenta, due parole di genere femminile, ma fortemente incarnate nel mito del vero uomo.

Il racconto di Anna Bravo è un viaggio nel secolo breve sino ai giorni nostri, in compagnia di qualche assoluta celebrità e una marea di persone "ordinarie". Nelle trincee della prima guerra mondiale si soffre e si rischia insieme al nemico e l'empatia nasce dalla comprensione reciproca tanto che una bomba disinnescata viene lanciata con su scritto: «Stiamo per bombardarvi, dobbiamo, ma non vogliamo, fischieremo due volte per avvertirvi». Nella seconda guerra mondiale è la mano tesa verso gli ebrei o, dopo l'8 settembre del 1943 è l'aiuto offerto ai prigionieri alleati. Ancora: è la resistenza di un paese intero, la Danimarca, al nazismo, sotto le apparenti spoglie d'una resa.

Accanto ai "militi ignoti" di questa contro guerra, ci sono pochi grandi protagonisti. C'è il maestro Gandhi con il suo concetto di non violenza che pure non esclude il conflitto ("si dice: i mezzi in fin dei conti sono mezzi. Io dico: "i mezzi in fin dei conti sono tutto") in un itinerario luminoso tra vittorie e sconfitte,non disgiunto da qualche ambiguità. C'è il leader kosovaro Ibrahim Rugova che per anni ha saputo reggere alla pressione serba e che è accusato di intelligenza con il nemico per avere scelto la salvaguardia di persone e cose nell'immediato, dando priorità sull'avvenire. Persino una figura simbolo alla resistenza del Tibet alla Cina, quale il Dalai Lama, non si è sottratto, nel tempo, all'accusa di eccessi di pragmatismo.

Nessuno dei protagonisti di questo saggio è esente da critiche e contraddizioni. Resta il fatto che i loro nomi, celebri o accomunati quali militi ignoti, sono incisi nel corso della storia. Hanno ritenuto che risparmiare sangue fosse più importante che vivere in un cimitero. L'autrice ricorda una battuta di Montale: «Vissi al cinque per cento, non aumentate la dose».

Anna Bravo, «La conta dei salvati», Dalla Grande Guerra al Tibet, storie di sangue risparmiato, pagine 239, euro 16, Editori Laterza

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