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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2014 alle ore 08:20.

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Ci sono molti modi di raccontare la storia. Attraverso un personaggio oppure un evento, una guerra, una rivoluzione. Ovvero la si può narrare attraverso un ceto sociale; o addirittura seguendo l'epopea drammatica di una generazione. È successo più di una volta. Invece è abbastanza rara e originale la chiave scelta da Alberto Orioli in questo volume che ricostruisce il lungo itinerario italiano, dal dopoguerra ai giorni nostri, con gli occhi dei giovani industriali, i giovani della Confindustria. Quindi non una singola generazione, bensì una serie di generazioni che si succedono nell'arco di circa cinquant'anni fino a descrivere, tutte insieme, un moto di rinnovamento che ha cambiato via via il volto dell'organizzazione confindustriale e ha accompagnato la storia economica d'Italia nella sua tortuosa complessità.
Orioli ripropone i volti, le voci e gli slanci dei protagonisti filtrandoli attraverso la propria sensibilità storica. Così emergono i tasselli di una vicenda che riguarda, sì, l'evoluzione della Confindustria, ma tocca soprattutto la memoria del Paese: un'identità che si compone e si ricompone di continuo nel fuoco delle passioni civili, fra le quali la cultura d'impresa, ossia il valore etico dell'attività imprenditoriale, occupa un posto di assoluto rilievo. Il primo fu Lorenzo Vallarino Gancia. Eletto presidente dei Giovani Imprenditori nel 1966, quando presidente della Confindustria era Angelo Costa. Quell'elezione fu una svolta a lungo preparata, perché nei primi anni del dopoguerra, mentre si rimetteva in piedi l'Italia, i giovani industriali non disponevano di alcuna autonomia: potevano solo imparare il mestiere, come in una scuola-quadri e in un clima abbastanza paternalistico. Quel che è peggio, si respirava una tendenza autoreferenziale dell'"establishment" confindustriale che alla lunga rischiava di essere letale. E generava forti tensioni con i giovani che volevano organizzarsi nel segno dei tempi nuovi. Vallarino Gancia interpretò, esponendosi in prima persona, l'esigenza di rinnovamento.
«Fu grazie alla lungimiranza di Angelo Costa – scrive Orioli –, comunque consapevole del rischio di isolamento e irrilevanza della Confindustria, se quelle intemerate di trasformarono in un seme intellettuale per guidare il rinnovamento»; fino a creare «una sorta di vero contropotere generazionale, senza arrivare però alla rottura che invece aveva caratterizzato il movimento dei giovani industriali francesi usciti polemicamente dal Patronat».
Uno dei meriti del lavoro di Orioli è di non nascondere nulla delle frizioni e dei conflitti che animano per anni la dialettica fra giovani e "seniores". Come quella scatenata dalla pubblicazione, nel '69, del dirompente rapporto «Una politica per l'industria». Un testo innovativo che incrocia e approfondisce i temi che in quella fase di rapida trasformazione sociale animano il dibattito politico. Arrivano gli anni di Renato Altissimo, Piero Pozzoli, Luigi Abete: tre presidenze dei Giovani Imprenditori che in diverse forme segnano la loro epoca e ne scandiscono le contraddizioni. Guidare i giovani non è una "sine cura", ma un modo per partecipare al mutamento in atto nel Paese. Per Pozzoli, ad esempio, questa spinta si traduce in un'attenzione verso la sinistra che naturalmente suscita reazioni: ad esempio in un suo futuro successore, Antonio D'Amato, che si considera già allora uomo di saldo spirito liberale. In quei dodici anni presidenti della Confindustria sono Renato Lombardi, Giovanni Agnelli, Guido Carli e Vittorio Merloni. È una stagione dura, tragica. L'autunno caldo è appena passato, le bombe di piazza Fontana dimostrano che nulla sarà più come prima. Gli anni Settanta cambiano l'Italia: il terrorismo, la guerra civile «a bassa intensità», come si dirà poi, il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro...
Il dramma del Paese è anche in molti casi il dramma delle imprese e di chi opera in esse. Almeno fino alla marcia dei Quarantamila a Torino, all'inizio degli anni Ottanta. Il filo di Orioli si dipana sicuro e ci vorrebbe più spazio per ripercorrere tutte le tappe della storia. Si succedono fra i giovani le presidenze di Carlo Patrucco, Giorgio Fioruzzi, il già citato D'Amato, Aldo Fumagalli, Alessandro Riello, Emma Marcegaglia, Edoardo Garrone, Anna Maria Artoni, Matteo Colaninno, Federica Guidi, fino al presidente in carica Jacopo Morelli. Giovani di ieri e giovani di oggi. Come scrive Giorgio Squinzi nella prefazione, «i giovani non sono una categoria astratta, buona per fare i titoli dei giornali. I giovani sono la nostra energia, il motore per accendere il domani». E allora ci sarà ancora da scavare per Alberto Orioli, perché il tema dell'imprenditoria in Italia è una miniera inesauribile se si vuole capire qual è il destino che ci attende.
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