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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2014 alle ore 08:14.

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La storia, come la scienza, è piena di misteri, talvolta molto intricati, e gli storici lo sanno bene. La storia però, come la scienza, ha le sue regole. Per questo motivo un grande storico quale Carlo M. Cipolla ha potuto sostenere che la costruzione di una «metodologia rigorosa» in ambito storico ha reso giustificabile «l'uso dell'aggettivo "scientifico" applicato allo studio della storia nei nostri giorni». Tale metodologia prevede anche una attenta analisi del curriculum e della professionalità di coloro che trasmettono o riportano le fonti. Una delle cause di «narrazioni menzognere», scriveva lo storico arabo Ibn Khaldun (vissuto nella seconda metà del XV secolo), «è la cieca fiducia verso chi le riferisce: su chi trasmette notizie andrebbe invece condotta la stessa indagine che i giudici fanno subire ai testimoni».
Questo è un punto importante. Ad esempio, i lettori di testi relativi a enigmi e segreti della storia sono abituati a verificare l'effettiva preparazione e competenza degli autori nello specifico campo di cui stanno parlando, oppure tendono a fidarsi in maniera acritica delle informazioni che vengono riportate? E se quelle informazioni fossero errate, distorte o deformate? «Dimmi che amici hai, e ti dirò che storico sei», affermava Arnaldo Momigliano in un fondamentale articolo del 1974, Le regole del gioco nello studio della storia antica: «ogni storico serio nel dubbio consulta i colleghi, soprattutto quei colleghi che hanno fama di essere scettici e inesorabili». Non a caso, gli autori di testi pseudostorici (e pseudoscientifici) fanno sempre continui rimandi fra loro, cercando di far vedere come il giudizio positivo di uno avvalori quello dell'altro, senza tuttavia confrontarsi con il parere degli specialisti. Questo non significa, ovviamente, che importanti contributi alla ricerca storica non possano venire dall'apporto di dilettanti o appassionati cultori della materia. Ma, come accade nell'ambito della ricerca scientifica, il confronto con la comunità degli storici non può essere eluso, così come quello con le regole (faticosamente costruite nel corso del tempo) che stabiliscono la serietà e la validità di una ricerca.
Anche la storia, come la scienza, è soggetta a un continuo avanzamento del sapere. Vale per la storia quello che Feynman ha scritto per la scienza: «Se non si potesse, o volesse, guardare in nuove direzioni, se non si avessero dubbi, o non si riconoscesse il valore dell'ignoranza, non si riuscirebbero ad avere idee nuove. Non ci sarebbe nulla che valga la pena di verificare, perché sapremmo già cos'è vero e cos'è falso. Quindi ciò che oggi chiamiamo "conoscenze scientifiche" è un corpo di affermazioni a diversi livelli di certezza. Alcune sono estremamente incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto». Sostituiamo "conoscenze scientifiche" con "storiche": la sostanza del discorso resta immutata. Possono essere scoperti nuovi documenti, che portano alla costruzione di nuove storie. Oppure, documenti già noti possono essere letti sotto un'altra luce, in un'altra ottica. Per questo motivo gli storici, come amava ripetere Paolo Rossi, «sono abituati alla variabilità delle interpretazioni e riescono a manifestare una sufficiente dose di tolleranza anche di fronte a interpretazioni così diverse da rasentare la incompatibilità».
Ci sono però due comportamenti che non sono consentiti nella ricerca storica: 1) raccontare delle storie immaginarie, falsificando i fatti e il contenuto originale delle fonti se non, addirittura, inventando le fonti stesse; 2) negare la realtà di determinati fatti ed episodi, quando la comunità degli storici ne abbia accertato l'esistenza sulla base di documenti, esame critico delle fonti, testimonianze verificate e incrociate. Oltre ogni ragionevole dubbio.
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