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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2014 alle ore 15:35.

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"Giornalista tra museo e futuro": si intitola così il capitolo introduttivo del libro di Marco Pratellesi «New Journalism – Dalla crisi della stampa al giornalismo di tutti» pubblicato da Bruno Mondadori. Più che la terza edizione del volume, uscito nel 2003 e riproposto nel 2008, si tratta di un testo quasi tutto nuovo, alla luce dei tanti cambiamenti avvenuti nel mondo dell'informazione. Internet, i dispositivi mobili e i social media hanno trasformato la professione del giornalista in un'ottica multimediale, continuamente aggiornata e aperta anche al contributo dei cittadini.

Pratellesi, fra i primi a esplorare il giornalismo online in Italia nella redazione di "Quotidiano.net" (gruppo Riffeser), dal 2002 al 2010 è stato responsabile del "Corriere.it"; poi ha gestito i siti di Condé Nast, prima di passare nel 2013 alla guida del sito dell'Espresso.

L'autore, che parla al presente e guarda al futuro dei giornali, ha voluto iniziare il libro con una simbolica visita al "Newseum" (acronimo formato dai vocaboli "news" e "museum"), il primo e più grande museo interattivo del mondo dedicato al giornalismo (www.newseum.org) con sede a Washington sulla Pennsylvania Avenue. «Nelle stanze del museo – scrive Pratellesi – sono conservati gli strumenti antichi e moderni della professione: microfoni e macchine fotografiche, telecamere e macchine da scrivere, computer e cellulari: "oggetti sacri" di un mestiere la cui storia è profondamente legata all'evoluzione delle tecnologie».

In una bacheca sono esposti il microfono gracchiante della Cbs con cui Ed Murrow raccontava i raid aerei della Luftwaffe sull'Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale e quello della Cnn usato da Peter Arnett a Baghdad nella prima guerra del Golfo; al "Newseum" si trovano anche i pass che, legati al collo o tenuti in mano, hanno permesso ai giornalisti di essere testimoni dei grandi appuntamenti internazionali della politica, dell'economia e della finanza. La "Today's Front Pages Gallery" mostra in grande formato le prime pagine di oltre 80 quotidiani americani e internazionali, ma nel sito se ne possono trovare quasi mille, editi in 87 paesi (fra i principali quotidiani italiani c'è soltanto "La Stampa").

Nel giornalismo online l'Italia fa il suo ingresso nella seconda metà degli anni '90, quando «negli Usa c'erano già siti che sperimentavano l'aggiornamento 24 ore su 24, 7 giorni su 7». Pratellesi cita "Repubblica.it" che «poteva permettersi di staccare il venerdì sera per riprendere gli aggiornamenti il lunedì mattina», lavorando «con un passo più da periodico che da quotidiano online (…) più o meno dalle 8-9 di mattina alle 7-8 di sera». Con gli stessi orari funzionava anche la redazione web del "Sole 24 Ore", nata nel settembre 1997 da una "costola" del settimanale "Mondo Economico" (che aveva cessato le pubblicazioni in luglio) e formata da una decina di giornalisti e quasi altrettanti poligrafici e operatori multimediali.

La fotografia del presente evidenzia il declino della diffusione dei quotidiani cartacei e il progressivo aumento dell'età media dei lettori, «contemporaneamente si è sviluppato un nuovo mercato di lettori digitali, nativi e non, da sempre abituati all'idea che le notizie online siano gratis». Smartphone, tablet e social media hanno aperto nuove opportunità, ma non si è ancora trovata una risposta efficace per sostituire le entrate della carta con quelle del digitale. Per l'autore del libro un modello economico valido potrebbe essere la flessibilità, intesa come «capacità di inventarsi di volta in volta il modello più adatto alle trasformazioni in atto». Con un punto fermo, però: ripartire dal lettore, perché se le sue abitudini sono cambiate, è compito del giornalismo risintonizzarsi sui nuovi canali.

«I giornalisti dei siti – scrive Pratellesi – vengono ancora guardati con sufficienza da alcuni colleghi della carta stampata», perché «non escono a cercare le notizie e si limitano a fare copia-incolla delle agenzie». Ma di questi tempi anche i colleghi della carta stampata che escono per coprire i servizi o in qualità di inviati sono davvero pochi. Così «le redazioni online sono spesso l'ambiente più vivo e dinamico che si possa trovare all'interno dei giornali», anche se la necessità di dover aggiornare frequentemente l'home page e il nastro orario che va dalla mattina presto fino alla sera molto tardi (se non alla copertura delle 24 ore) costringe a turni parecchio disagiati.

Sui giornali online tanti articoli non sono firmati: questo avviene perché nei siti si fa molto uso delle agenzie (e in Italia non c'è la cultura di riportare la firma o la sigla della fonte) e perché a volte i pezzi online sono aggiornati da redattori diversi con il cambio dei turni di lavoro. Pratellesi propone la firma come «una tappa importante del giornalismo online, già ampiamente percorsa da alcune delle principali testate internazionali», in quanto il buon nome di una testata «si costruisce sulla somma delle singole credibilità dei suoi giornalisti». E vuole «sfatare il pregiudizio che sul web si debbano scrivere necessariamente testi brevi: le potenzialità del mezzo consentono infatti approfondimenti che la carta non permette».

Chi scrive queste righe, sul filo della memoria, ricorda come una piccola, ma significativa "conquista" per la redazione online del "Sole 24 Ore", alcuni mesi dopo la sua nascita, aver ottenuto il consenso del direttore (Ernesto Auci) a firmare gli articoli. All'epoca infatti l'idea prevalente in azienda era che i pezzi su internet dovessero restare anonimi o, tutt'al più, "siglati" sul tipo dei lanci d'agenzia.

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