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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2014 alle ore 16:42.

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Un uomo comune "destandosi una mattina da sogni inquieti si trovò mutato in un insetto mostruoso". Così comincia il racconto di Kafka. E nient'altro viene aggiunto a motivare un orrore. Gli avvenimenti successivi riguardano l'adattarsi del giovane Gregori Samsa al suo nuovo stato (un inferno che non esclude pause di rassegnazione o addirittura di serenità), di rapporti con i genitori e la sorella , l'afflizione per la perdita dell'impiego, la tenacia a non smarrirsi d'animo, e infine, quando ogni affetto è declinato intorno a lui, la stoica e quasi religiosa accettazione della morte.

Non è impresa facile trascrivere per la scena, cioè in termini anzitutto visivi, un testo come "La metamorfosi", la cui singolarità e grandezza consistono in una irripetibile miscela stilistica di realismo e assurdo, e in una potenzialità allegorica che ciascun lettore può colmare con i "contenuti" (malattia, disadattamento, solitudine, incapacità o male di vivere) che più insidiosamente affiorano dal suo inconscio. Nel momento in cui si realizza una trasposizione teatrale essa non può essere né fedele né infedele. Forse l'aggettivo opportuno è "impossibile" dato che sarebbe assurdo pretendere che una sceneggiatura rielaborasse ricreandola una pagina narrativa altissima, tutta chiusa in sé, come sigillata nel suo mistero. Allora, scegliere un punto di vista, una chiave d'accesso, diventa l'unico modo per entrare da una delle molte porte che il testo offre.

Delle tante aperte questa di Luca Micheletti è tra le più sconvolgenti finora viste per acutezza di approccio, di indagine, di approfondimento letterario, intellettuale, fisico, esperienziale. E scenico, anche nella drammaturgia sonora. Elementi tutti che coincidono con l'impressionante metamorfosi attorale dello stesso Micheletti, il quale nell'articolarsi della membra, è impegnato in un ammirevole sforzo anche atletico, al limite del contorsionismo, che coinvolge pure la vocalità timbrica modulata in toni continuamente cangianti nel passare da una sequenza ad un'altra, da uno stato psichico all'altro.

Micheletti, nell'individuare l'aspetto della disabilità fisica del protagonista all'interno della società contemporanea, e la non accettazione da parte dei famigliari che ne rifiutano la sussistenza e persino la plausibilità, carica su di sé la delicata e rischiosa rappresentazione di un soggetto con handicap del quale assume posture ed espressioni. Seduto su una sofisticata e tecnologica sedia a rotelle, vive la sua condizione di "diversamente abile" muovendosi dalla sua angusta stanza verso l'ampia cucina, attorno ai mobili e fermandosi a ridosso del pubblico. Dalla sua camera-rifugio, collocata dentro un'ingombrante struttura metallica circolare, s'aprirà inizialmente dalla parete centrale una finestrella da dove fuoriesce la testa all'indietro di Gregor nella presa di coscienza della trasformazione.

Nel successivo e graduale roteare meccanico della stanza, quando ormai l'ingombrante presenza del "malato" avrà via via generato un rifiuto organico, i mobili verranno letteralmente segati dalla madre e dalla sorella per liberare la stanza. Si rovesceranno, capovolgendosi, insieme agli oggetti, con Gregor disperato intento a difendere inutilmente il suo rifugio mentre ruota, scivola, e si aggrappa alle pareti. La difficoltà di relazione tra il soggetto e il mondo esterno è resa palpabile nel logorarsi dei rapporti famigliari, delle loro dinamiche di progressivo allontanamento dalla considerazione umana a quella animale fino all'indefinitezza e all'indifferenza. Fuga che trova nei tre magnifici interpreti - Laura Curino, la madre, Dario Cantarelli, il padre, e Claudia Scaravonati, la sorella - l'espressione del ribrezzo che ingenera il disagio fisico degli altri, malessere che mette a nudo il proprio.

Nella parabola di Gregor Samsa emerge anche quella psicoanalitica per cui sarebbe esistito un rapporto edipico tra Kafka e il padre (qui espresso con una sequenza a due di forte impatto emotivo); senza contare che un'oscura pulsione incestuosa avrebbe spinto lo scrittore verso la sorella. Ritroviamo tutto questo nei rituali casalinghi verso la disumanizzazione progressiva a contrasto col resistere, nel "mostro", di un'umanità di fondo che diventa ancora oggi richiesta, inesaudita, d'aiuto.

"La metamorfosi", dal racconto di Franz Kafka, regia e drammaturgia Luca Micheletti, scene Csaba Antal, costumi Claudette Lilly, luci Cesare Agoni, drammaturgia musicale Roberto Bindoni, suono Edoardo Chiaf. Produzione CTB Teatro Stabile di Brescia e ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione. Al teatro delle Passioni di Modena.

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