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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2014 alle ore 10:27.
L'ultima modifica è del 27 aprile 2014 alle ore 10:27.

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Qualcuno ricorda ancora certamente il tempo in cui in televisione, sulla Rai, andavano in onda, in prima o seconda serata o di notte, i "cicli" di film dedicati a grandi autori, ad attori del passato e a generi sempre vivi. Uno degli inventori dei cicli (che insieme ai cineclub, ai cineforum, alle sale parrocchiali e a quelle di seconda, terza e ulteriori visioni hanno allevato e nutrito almeno due generazioni di cinefili tanto onnivori quanto colti) fu Claudio G. Fava, il critico cinematografico genovese morto nella sua città, a ottantatre anni, il giorno di Pasqua.

Si presentava con i suoi occhiali spessi, l'impeccabile cravatta o l'inconfondibile papillon, la voce "cantante" dall'inflessione ligure (che si divertiva a stravolgere camaleonticamente nell'imitazione di molti altri dialetti e altre lingue), e "porgeva" il racconto dei film che amava, mescolando Storia e storie, temi e linguaggio con l'abilità del grande divulgatore. Era leggermente snob, coltissimo e dalla battuta prontissima, ma soprattutto possedeva la capacità rara ed enorme di saper trasmettere la passione per il cinema e, in generale, per la cultura.

Nato a Genova il 17 ottobre del 1929, si era laureato in giurisprudenza e aveva cominciato la carriera di giornalista e critico per "Il Corriere mercantile", cui negli anni si sono affiancati "ll Messaggero", "Il Mattino", "Il Secolo XIX", "Bianco e Nero", "La rivista del cinematografo", "Letture" e molti altri quotidiani e riviste, e saggi e monografie, su Alberto Sordi, Federico Fellini, Ugo Tognazzi, sui film di guerra, sulla spy story (ed essendo le spie e lo spionaggio una delle sue grandi passioni, aveva scritto anche una storia dello spionaggio mondiale a puntate). Nel 1970 era entrato in Rai come programmatore di film e, quando all'inizio degli anni Ottanta era diventato capostruttura della Rete Due, aveva cominciato il lavoro certosino di acquisto, spesso doppiaggio o ridoppiaggio, messa in onda di capolavori del passato, quelli dei quali era innamorato e dei quali riusciva a far innamorare gli spettatori: film come Il grande sonno e Acque del sud di Hawks, I migliori anni della nostra vita di Wyler, La regola del gioco di Renoir, Duck Soup dei fratelli Marx divennero visibili, allora, grazie a lui.

Oltre naturalmente alle opere dell'amatissimo Jean Pierre Melville, misconosciuto, geniale autore di noir francese (anzi, alsaziano ed ebreo, che si era chiamato Melville in onore dell'autore di Moby Dick, mentre il suo vero cognome era Grumbach, ci terrebbe a precisare Claudio Giorgio, e ancora lo fa, in un intervento sul web), al quale dedicò almeno due cicli televisivi. Il cinema di Melville, come i romanzi di Georges Simenon o la vita e la politica del generale De Gaulle erano solo alcuni degli aspetti della cultura d'Oltralpe nella quale era ferratissimo, tanto che il governo francese lo aveva nominato Officier des Arts et des Lettres per il suo lavoro di diffusione del cinema francese in Italia.

E probabilmente furono proprio la cultura e la freschezza d'ingegno a fargli capire al volo le potenzialità e la forza della serialità televisiva americana e a fargli acquistare e programmare soap come Beautiful e Capitol e serie tv come Miami Vice, Ritorno a Brideshead, Hill Street giorno e notte. In più, rubriche cinematografiche che scriveva e conduceva, come Dolly e Set, e programmi realizzati con Gloria De Antoni e Oreste De Fornari (come Perdenti, Infedeli, La principessa sul pisello e altri). Animatore ironico e intelligente di una televisione come non si fa più, quando si è ritirato, è andato a insegnare comunicazione televisiva all'Università di Genova, a dirigere "Voci nell'ombra", il festival cinematografico di Finale Ligure dedicato al doppiaggio, e soprattutto ha creato (a ottant'anni, in collaborazione con Lorenzo Doretti) un blog curioso e anomalo, "Clandestino in galleria", attraverso il quale ha trasferito sul web l'arte semiperduta e preziosa della chiacchierata, dove arguzia e conoscenza si mescolano, divagando e saltando dal cinema alla letteratura alla storia alla curiosità, senza mai cadere nelle trappole più infide del web (pressapochismo, supponenza e aggressività), ma con la grazia del grande conversatore.

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